Che cosa aspettarsi dal summit del G20 di Bali

L’obiettivo dichiarato della presidenza indonesiana era quello di riportare l’attenzione verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo, ma purtroppo si sono messe di mezzo la geopolitica e la guerra in Ucraina

Articolo di Ilaria Zolia

L’Indonesia sta finalizzando i preparativi per ospitare il summit G20 del 15-16 novembre a Bali. Joko Widodo, Presidente indonesiano e Presidente di turno del G20, ha visitato Kiev e Mosca a fine giugno per incontrare Volodymyr Zelensky e Vladimir Putin, diventando il primo leader asiatico ad incontrare entrambi i capi di Stato dall’inizio della guerra. La visita di Widodo, ha sottolineato il Ministro degli Esteri indonesiano Retno Marsudi, “sottolinea la preoccupazione per le questioni umanitarie, nel tentativo di contribuire a risolvere la crisi alimentare causata dalla guerra, così come le sue conseguenze”. In diversi forum a margine dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, Marsudi ha ripetuto lo stesso mantra: “In qualità di nazione ospitante, l’Indonesia è intenzionata a far progredire il multilateralismo e a promuovere la crescita economica post-pandemia”. 

All’alba della presidenza di turno del G20 e raccogliendo il testimone dall’Italia, Widodo aveva affermato che l’Indonesia, durante la sua presidenza, sperava di offrire una piattaforma per partenariati globali e finanziamenti internazionali per sostenere la transizione energetica verso fonti rinnovabili più pulite. Giacarta conosce bene le difficoltà delle economie emergenti davanti alle trasformazioni che la transizione energetica richiede. Quella che viene considerata una delle principali soluzioni sul tavolo è, per i Paesi in via di sviluppo, una sfida che richiede innanzitutto l’accesso universale all’energia elettrica di qualità. La sola Indonesia ha la sovranità su 17,500 isole e una capitale che sta sprofondando, mentre la politica economica è profondamente radicata intorno alle fonti fossili. I progetti sono tanti e ambiziosi, come un parco solare a Java che verrà completato entro la fine del 2022 e sarà, con i suoi 145 Megawatt, il più grande del Paese. 

L’obiettivo dichiarato della presidenza indonesiana era quello di riportare l’attenzione verso i Paesi emergenti e in via di sviluppo, ma purtroppo si sono messe di mezzo la geopolitica e la guerra. La gran parte delle discussioni nei mesi prima del summit si è concentrata sulla presenza di Vladimir Putin, Xi Jinping e Joe Biden e sugli eventuali incontri bilaterali fra i tre leader di Russia, Cina e Stati Uniti. Nelle sue osservazioni al Global Governance Group Forum tenutosi a New York, Marsudi ha sottolineato la necessità del vertice del G20 di produrre risultati che vadano a beneficio di tutti, senza lasciarsi sovrastare dalle questioni geopolitiche attuali. L’ex leader indonesiano Susilo Bambang Yudhoyono ha invitato il Presidente degli Stati Uniti Joe Biden a incontrare gli omologhi russo e cinese Vladimir Putin e Xi Jinping al vertice del G20 di Bali il mese prossimo per scongiurare la “reale possibilità di una terza guerra mondiale”. Si tratterebbe del primo incontro di Biden con entrambi i leader di Mosca e Pechino dall’inizio della guerra in Ucraina. “L’Europa e l’Asia orientale potrebbero tirare un sospiro di sollievo” se il summit di Bali fosse un successo, dice Yudhoyono.

In questo scenario di tensioni, la presidenza indonesiana del G20 sta da tempo camminando sul filo del rasoio per difendere la sua posizione neutrale circa la guerra in Ucraina. Le rivalità tra l’Occidente e il Cremlino rappresenteranno una sfida per il Paese ospitante del summit, il quale non si è mai schierato apertamente mantenendo la linea della “terza via” dell’ASEAN basata su neutralità e pacifismo. Nonostante le pressioni, l’Indonesia ha finora “gestito con successo le pressioni”, secondo Ina Hagniningtyas Krisnamurthi, Ambasciatore indonesiano in India. “Speriamo di avere un comunicato congiunto… e speriamo di essere un buon ospite per tutti coloro che verranno a Bali”, ha dichiarato al quotidiano indiano The Economic Times

Per Giacarta il G20 rappresenta ancora un forum che ha come fulcro lo sviluppo economico che dia impulso alla cooperazione tra economie emergenti e potenze globali. Secondo Teuku Rezasyah, esperto di relazioni internazionali dell’Università di Padjadjaran a Giava Ovest, è probabile che il vertice si concluda senza un comunicato congiunto a causa delle accese tensioni tra i membri, il che sarebbe lo stesso risultato dell’incontro preparatorio al Vertice dei Ministri degli Affari Esteri che si è tenuta dal 7 all’8 luglio a Bali. “Se non c’è un comunicato congiunto, ci dovrebbe essere una dichiarazione del Presidente che illustri le questioni contestate dai membri del G20, in modo da poter vedere quali membri violano i principi del G20 e quali li sostengono”, ha aggiunto. Infatti, alla riunione i Ministri degli Esteri dei Paesi del G20 partecipanti non sono riusciti a trovare un punto di incontro sulla guerra in Ucraina e sul suo impatto globale. Alla riunione era presente anche il Ministro Russo Sergei Lavrov, il quale ha lasciato la sessione ministeriale mentre la sua omologa tedesca Annalena Baerbock stava criticando Mosca per la guerra in Ucraina. Widodo ha sempre sottolineato l’importanza della partecipazione di tutti i leader. In un’intervista rilasciata a Bloomberg il 19 agosto, ha dichiarato: “Stiamo attraversando una crisi alimentare e una crisi energetica. L’Indonesia vuole essere amica di tutti i Paesi, non abbiamo problemi con nessuno. Quello che vogliamo è che questa regione sia stabile, pacifica, in modo da poter costruire una crescita economica. E penso che non solo l’Indonesia, ma anche i Paesi asiatici vogliono la stessa cosa”, ha concluso. Durante la sua presidenza del G20, l’Indonesia ha elaborato un’agenda che riflette gli interessi dei Paesi in via di sviluppo in materia di architettura sanitaria globale, trasformazione dell’economia digitale e transizione energetica. Giacarta spera che in qualche modo la sua agenda non venga del tutto cancellata dalla geopolitica.

Come migliorare ancora l’ASEAN

Il blocco del Sud-Est asiatico ha già tanti punti di forza, ma anche le potenzialità per rinsaldare ulteriormente il suo funzionamento e il suo ruolo

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

L’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico svolge un ruolo fondamentale a livello regionale e globale. Ma ci sono ancora dei margini di miglioramento per rendere l’ASEAN sempre più integrato ed efficace su tutti i livelli. In che modo? Riuscendo a integrare e coinvolgere nei processi decisionali e organizzativi i vari organismi collaterali che possono contribuire a portare una guida strategica e intellettuale alle azioni del blocco. Un caso positivo è quello del Consiglio per la cooperazione in materia di sicurezza nell’Asia del Pacifico (CSCAP), un’organizzazione regionale creata nel 1993. Si tratta di un meccanismo informale che comprende i centri di studi strategici degli Stati membri dell’ASEAN e dei 17 Stati non-ASEAN del Forum Regionale ASEAN (ARF), permettendo dunque a intellettuali, studiosi e politici di scambiarsi informazioni e opinioni sul futuro della regione. In un editoriale pubblicato nei giorni scorsi, il The Diplomat mette in fila una serie di esempi dove invece si può fare di più e che vale la pena citare. Secondo l’autore, Teh Pi Li, vi è uno scarso coordinamento tra i think tank nazionali, i ministeri e le istituzioni ASEAN, con la maggior parte degli istituti di ricerca si occupano per lo più di questioni di sicurezza nazionale e le questiono sociali o culturali regionali non rappresentano una priorità. “In senso più ampio, l’ASEAN non ha chiarito come gli studiosi o gli stakeholder possano essere coinvolti nei meccanismi a guida ASEAN menzionati nell’ASEAN Outlook on the Indo-Pacific (AOIP), attraverso i quali l’ASEAN spera di coinvolgere gli stakeholder delle regioni dell’Asia-Pacifico e dell’Oceano Indiano”, si legge sul The Diplomat, secondo cui “mancano meccanismi formali attraverso i quali le parti interessate possano scambiare idee e informazioni”. Viene poi menzionato il fronte economico, con i collegamenti tra i diversi consigli commerciali dell’ASEAN e quelli dei partner esterni del blocco che necessitano di un grande rafforzamento. L’ASEAN si vede come una “comunità” e lo è già sotto tanti punti di vista. Ma per navigare le movimentate acque del presente, serve forse rafforzare ulteriormente una nave già salda ma che può diventare ancora più sicura nel suo procedere verso il futuro.

Il Vietnam leader della delocalizzazione

Ma sviluppare un’industria high-tech autoctona non è così semplice

Il futuro della Apple potrebbe essere in Vietnam. Da più di dieci anni il Paese del Sud-Est Asiatico è un leader assoluto nell’attrarre i più grandi brand della tecnologia: da Samsung, a Xiaomi, a Intel. E anche la compagnia di Steve Jobs sta producendo qui i componenti per gli AirPods, oltre a testare la produzione di smartwatch e laptop. Riuscire a inserirsi nella filiera di questi dispositivi più complessi sarebbe un grande successo per l’industria manifatturiera di Hanoi.

Il Vietnam ha infatti registrato una crescita dell’esportazione di beni tecnologici ineguagliata da qualunque altro Paese asiatico. Dal 13% del 2010, in appena dieci anni i componenti high-tech sono diventati il 42% dell’export. Del resto, negli ultimi anni il crescente costo dell’inflazione nei centri manifatturieri cinesi ha spinto molti produttori a spostare le loro fabbriche in Vietnam, dove i salari dei lavoratori sono più bassi. Prima la guerra commerciale tra Washington e Pechino e poi i continui e serrati lockdown in Cina, hanno incentivato le aziende, inclusa Apple, a trasferirsi nel Paese. Ma la capacità di Hanoi di attrarre imprese estere per lavorare i componenti dei dispositivi tecnologici in loco va di pari passo con la difficoltà a far emergere un’industria propria. Secondo i report pubblicati dal Ministero dell’Industria e del Commercio nel 2019, il Vietnam è rimasto indietro rispetto alla maggior parte dei suoi vicini nel settore tecnologico. 

Negli anni precedenti le cosiddette “tigri asiatiche” hanno dimostrato che il salto di qualità, da pezzo della catena di montaggio a produttore vero e proprio, è possibile. Un esempio sono le economie di Cina, Taiwan e Corea del Sud, che partendo da una base di prodotti a basso costo, hanno virato le loro industrie verso l’automobilistica e la robotica. Il Vietnam presenta caratteristiche simili a questi Paesi: bassi costi di produzione, forza lavoro a disposizione e una politica industriale coordinata dallo Stato. Tuttavia, incombono due grandi criticità: la mancanza di infrastrutture adeguate e di manodopera altamente qualificata. Manager e lavoratori qualificati costituiscono, infatti, solo il 10,7% dell’intera forza lavoro del Vietnam, la percentuale più bassa di tutte le grandi economie del Sud-Est Asiatico. Inoltre, in Cina ad esempio, intere zone sono dedicate alla creazione di un solo prodotto; il Vietnam, invece, non dispone di questi agglomerati. Le sue industrie sono sparse nel Paese e poco integrate.

Resta, poi, da chiarire se il successo raggiunto dalle “tigri asiatiche” decenni fa sia replicabile ancora oggi, con un’economia globalizzata trasformata dal dominio del settore manifatturiero cinese. Il ruolo di Hanoi rimane quindi ancora incerto: in bilico tra continuare a essere una parte affidabile della filiera produttiva e, allo stesso tempo, pronto a elaborare una strategia per entrare nel mercato internazionale. Certo, il successo nell’high-tech significherebbe diventare competitivi con i grandi brand asiatici, come la cinese Oppo o la malese Silterra. Ma un eventuale fallimento, fa notare il direttore del Mekong Development Research Institute Phung Tung, condannerebbe il Paese a essere “per sempre una componente della catena di approvvigionamento”, con le disastrose conseguenze della stagnazione, la disuguaglianza sociale e le crisi di debito.

La soluzione per continuare ad attrarre aziende estere sul territorio e, al contempo elaborare una strategia di crescita autonoma, pone il Vietnam di fronte a un dilemma: la formazione della manodopera aumenterà le possibilità del Paese di lanciarsi nell’industria dell’high-tech, ma porterà anche a un incremento dei salari, incoraggiando i produttori esteri a delocalizzare altrove, come nella vicina Cambogia.

L’impatto dell’inflazione sulla politica indonesiana

Il blocco dei sussidi per il carburante deciso dal governo di Widodo ha portato a un aumento dei prezzi contestato dai cittadini. La situazione economica può giocare un ruolo fondamentale verso le scelte dei partiti per le elezioni del 2024

Articolo di Aniello Iannone

Lo scorso 10 settembre, il governo indonesiano ha bloccato i sussidi per il carburante causando l’automatico aumento dei prezzi. Tale decisione ha comportato turbolenze e proteste a Giacarta, dove la popolazione è scesa in piazza per le scelte del governo guidato dal Presidente Joko Widodo. L’aumento dei prezzi del carburante, però, non è l’unico problema in Indonesia. Dal punto di vista economico, anche il settore alimentare ha risentito di un aumento rilevante dei prezzi, per di più senza un adeguato aumento dei salari minimi. In questa situazione di instabilità economica, l’Indonesia inizia già il lungo avvicinamento verso le prossime elezioni del 2024, tra nuovi e vecchi attori che si contenderanno la presidenza. 

L’economia indonesiana sta attraversando una fase  di  continuo e rapido aumento dei prezzi. Già dallo scorso anno, l’Indonesia ha visto un incremento dei prezzi nei beni essenziali detti pokok, (come riso, olio, uova), del 5%-10%. Questo aumento è stato registrato prima della sospensione dei sussidi: il prezzo dell’olio è aumentato vertiginosamente a  febbraio, toccando quasi quota 4 dollari al litro. Aumento avvenuto già prima della guerra in Ucraina.

Per capire quanto l’effetto negativo dell’aumento dei prezzi sia un problema per la maggior parte della popolazione indonesiana bisogna analizzare la struttura economico-sociale del Paese. L’indonesia ha una  popolazione che si avvicina ai 300 milioni, di questi  quasi il 10% vive in povertà, e il 4% in estrema povertà, in particolar modo nelle zone quali Kupang in NNT o Papua.  Inoltre, i salari minimi medi in Indonesia si aggirano attorno ai  270 dollari al mese a Giacarta, la zona con il salario minimo più alto, mentre a Yogyakarta si aggira attorno ai 100 dollari  al mese, il più basso del Paese. Un prolungato aumento dei prezzi senza un adeguato aumento dei salari peserà molto sui cittadini.

La situazione politica : cosa prevede il post-Jokowi ? 

La complicata situazione economica che l’Indonesia sta affrontando deve anche confrontarsi con i primi segnali di futura campagna elettorale e una non ben chiara situazione politica. Durante il secondo mandato di Jokowi, sono state numerose le proteste contro il governo,  in particolar modo contro la legge sulla riforma del lavoro, che tra l’altro modifica i regolamenti per i salari minimi, o contro la riforma del codice penale.  Il 9 settembre invece proteste sono nate contro l’aumento del carburante e la sospensione dei sussidi governativi

Le proteste  sono la conseguenza di una politica frammentata in Indonesia. Al momento il PDI-P, il partito di Jokowi, sembra voler continuare a puntare su Puan Maharani per le future elezioni, anche se la sua popolarità tra gli indonesiani resta debole, in particolar modo all’interno della classe medio-bassa. Ma Puan è la figlia di Megawati Sukarnoputri, la leader del PDI-P. Rimane un’incognita la possibile candidatura di Prabowo Subianto. L’ex generale indonesiano ha perso due volte contro Jokowi nelle elezioni del 2014 e in quelle del 2019. Dopo queste ultime è stato inglobato nel governo come Ministro della Difesa ma una sua futura vittoria potrebbe comportare un cambiamento in chiave conservatrice-islamica, vista la tendenza di Gerindra a coalizzarsi con partiti pan-islamici. 

Altri due protagonisti potrebbero essere Anies Bsweden e Ganjar Pranowo. Ganjar Pranowo, attualmente governatore di Jawa Tengah, è secondo nei sondaggi  solo a Prabowo. Ganjar fa parte del PDI-P, ma a differenza di Puan, considerata una figura dell’élite, la sua popolarità è alta. Anies Baswedan è invece l’attuale governatore di Giacarta: dopo aver dichiarato la sua disponibilità a candidarsi è stato contattato dal partito nazional democratico NasDem del quale sarà il candidato per la presidenza. Anies, insieme a Prabowo e Ganjar corre alto nei sondaggi di gradimento tra la popolazione.

Il futuro dell’ASEAN Way

All’interno del blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico è nato un dibattito sui meccanismi decisionali dell’Associazione

Editoriale a cura di Valerio Bordonaro

Direttore Associazione Italia-ASEAN

Quello del consenso “è il principio fondamentale dell’ASEAN per una cooperazione reciprocamente vantaggiosa e per garantire la continuità dell’Associazione nell’integrare pienamente il blocco, così da realizzare la costruzione della comunità ASEAN”. È la cosiddetta “ASEAN way” caratterizzata da neutralità e pacifismo di cui abbiamo parlato diverse volte. E di cui parla anche il cambogiano Chun Sovannarith. Ovvero la chiave, a suo parere, dello “straordinario successo” dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico nel rendere la regione “stabile, pacifica, inclusiva, sostenibile, resiliente e prospera per oltre cinque decenni”. Da 55 anni l’ASEAN prende le proprie decisioni basandosi sul modello del consenso, citato 6 volte all’interno dei 55 articoli della Carta dell’associazione. Attraverso questo processo decisionale condiviso, alternativo al principio della maggioranza, si è dunque prodotto un meccanismo di integrazione e consultazione continua tra tutti gli stati membri. Ultimamente, però, circola un’idea che se applicata potrebbe apportare qualche modifica a questa storica unità d’intenti. Sul modello dell’“ASEAN Minus X” (una formula che permetteva ad alcuni stati del gruppo di non attuare delle politiche tariffarie e commerciali adottate in sede comune), c’è chi immagina la creazione di un modello di “maggioranza con super voto” volto a migliorare l’efficacia istituzionale dell’associazione nei casi in cui non si raggiungesse il consenso su questioni regionali o internazionali di interesse comune. Una posizione sulla quale può valere la pena aprire un dibattito, ma secondo Chun Sovannarith “bisogna chiedersi se un eventuale nuovo modello si adatti al contesto attuale o meno, considerando che il principio del consenso funziona già efficacemente per l’unità nella diversità dell’ASEAN, sotto il motto di una visione, un’identità e una comunità”. In tal senso, si può anche dire che questa idea “potrebbe non essere coerente con la natura stessa dell’ASEAN”, aggiunge esprimendo una posizione che si sposa con quella del governo cambogiano. Sulla base degli articoli della Carta dell’associazione, continua Chun, “la personalità giuridica dell’ASEAN deve prevalere di gran lunga sulla decisione politica, poiché la decisione dei leader è giuridicamente vincolata dal principio del consenso”. Al di là delle opinioni, va considerato che per cambiare il modello decisionale ed emendare la Carta servirebbe proprio il consenso di tutti gli stati ASEAN. 

Il pragmatismo dei Paesi ASEAN sulla Russia

Le nazioni del Sud-Est asiatico condannano l’offensiva russa in Ucraina ma non possono permettersi di compromettere l’economia per sanzionarla

Il Sud-Est asiatico si tiene stretti i rapporti commerciali con Mosca, mentre l’Occidente e alcuni partner asiatici continuano a imporre sanzioni e a condannare la Russia per la sua offensiva nel territorio ucraino. Le scosse geopolitiche scaturite dall’invasione si sono propagate rapidamente a livello internazionale. Ma se tra le file dei detrattori di Mosca è la Cina ad essere descritta (a torto) come l’unica “disertrice”, i Paesi del Sud-Est asiatico hanno optato per una loro “terza via”. Da una parte, in sede multilaterale si sono uniti al coro delle condanne; dall’altra, Singapore è il solo rappresentante della regione ad aver imposto sanzioni a Mosca. Paesi come Thailandia, e Vietnam, oltre che l’Indonesia, preferiscono mantenersi prudenti per non compromettere la tenuta delle rispettive economie, mentre la giunta militarista birmana non può permettersi di rinunciare alle armi russe che fluiscono nel Paese. 

La crisi economica post-pandemica ha costretto alcuni Stati Membri dell’ASEAN a fare il conto delle risorse a disposizione prima di adottare una posizione diplomatica insostenibile rispetto alla Russia. Buona parte delle nazioni del Sud-Est asiatico, infatti, considera la guerra in Ucraina una crisi regionale che non li riguarda. Inoltre, il paradigma di valori dell’ASEAN si impernia sul principio di neutralità, mutuato dall’esperienza coloniale alla quale questi territori sono stati sottoposti per decenni. Per questa ragione, il Sud-Est asiatico è restio a chiudere i rapporti commerciali e politici con la Federazione Russa e a condannarla all’isolamento politico-economico.

La Thailandia ha dichiarato che ripristinerà il servizio aereo regolare tra Mosca e Phuket alla fine di ottobre, una mossa per rinvigorire il settore turistico duramente colpito dalla pandemia. Tra gennaio e febbraio, prima dell’invasione, i russi rappresentavano la maggior parte dei turisti in viaggio in Thailandia. Ma il popolare servizio Mosca-Phuket è stato sospeso appena dopo lo scoppio del conflitto. Poiché la politica “zero-Covid” di Pechino sta frenando i turisti cinesi dall’organizzare viaggi nel Sud-Est asiatico, e i voli dalla Cina rappresentavano un’entrata importante per Bangkok, la Thailandia si concentrerà sull’attrarre almeno un milione di turisti russi quest’anno. Inoltre, Mosca e Bangkok mirano ad espandere il commercio bilaterale per raggiungere un volume di scambi di 10 miliardi di dollari nel 2023 (circa quattro volte superiore a quello del 2021), come ha affermato il Ministro del Commercio thailandese Jurin Laksanawisit a margine degli incontri APEC a maggio. 

Il Vietnam punta invece sull’approvvigionamento alimentare. Il 18 agosto scorso si sono tenuti colloqui per l’espansione del commercio di grano, il cui flusso dalla Russia nel 2021 era già sceso sotto le 190.000 tonnellate – dai 2,6 milioni circa del 2018 – a causa della presenza di semi di cardo potenzialmente invasivi. Il 6 settembre è stato poi lanciato un nuovo collegamento tra le rotte marittime e ferroviarie per il trasporto di merci tra Russia e Vietnam, che faciliterà le interazioni logistiche e consentirà il trasferimento diretto di merci. Anche la cooperazione finanziaria è un tema cruciale per le relazioni tra Russia e Paesi ASEAN, che hanno discusso della possibilità di passare ai pagamenti tramite valute nazionali, in particolare con il dong vietnamita e la rupia indonesiana. Sarebbe in ballo anche la possibilità di individuare sistemi di pagamento alternativi a quelli tradizionali, come il circuito russo MIR. 

Mosca è poi la prima fornitrice di armi nel Sud-Est asiatico. Il presidente Vladimir Putin ha sempre riconosciuto il grande potenziale politico e commerciale della regione, e ha optato per il ricorso alla diplomazia della difesa per rafforzare la cooperazione con gli attori della regione. Una delle principali destinazioni di equipaggiamenti militari e armamenti russi è il Myanmar. In un incontro a margine dell’Eastern Economic Forum che si è tenuto a Vladivostok a inizio settembre, il capo della giunta militare golpista birmana Min Aung Hlaing si è rivolto al presidente Putin con queste parole: “Dovremmo chiamarti non solo leader della Russia, ma anche leader del mondo, perché controlli e organizzi la stabilità del mondo intero”. Come ha suggerito Channel News Asia, il commento di Min Aung Hlaing arriva in un momento in cui entrambi i governi si trovano isolati a livello diplomatico: Mosca per il suo intervento militare in Ucraina, Naypyidaw per un colpo di stato militare lo scorso anno. Nei rapporti ASEAN-Russia emerge con chiarezza la complessità delle relazioni internazionali nell’epoca dell’economia globalizzata. La maggior parte del commercio dell’ASEAN con la Russia vede coinvolti Indonesia, Thailandia, Vietnam. È in aumento anche la crescita dei prodotti ad alto valore aggiunto venduti dall’ASEAN, anche per via del vuoto lasciato dai fornitori europei che hanno lasciato il mercato russo. Queste performance economiche sembrano in contraddizione con la condanna quasi unanime della comunità internazionale nei confronti dell’offensiva in Ucraina. A livello multilaterale, i Paesi ASEAN si sono uniti alle invocazioni di pace dell’ONU. Ma quando l’Assemblea Generale ha votato per la sospensione della Federazione Russa dai membri del Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, ad aprile, molti Paesi del Sud-Est asiatico si sono astenuti. Tra questi anche Singapore, oltre a Thailandia, Malaysia, Indonesia e Cambogia, mentre il Vietnam e il Laos hanno votato contro. Questo progressivo ammorbidimento nei confronti di Mosca trova ragione in valutazioni di pragmatismo economico e politico. Le diverse posture adottate in ambito multilaterale da una parte confermano comunque l’adesione degli attori regionali alle regole del diritto internazionale. Dall’altra manifestano il rifiuto di isolare la Russia, con un messaggio che implica che il sistema multilaterale si orienti – nonostante le crisi o proprio in virtù delle stesse –  verso una maggiore inclusività.

La giornata del Principe Mahidol e dell’Educazione all’Umanità

 “Il vero successo non sta nell’apprendimento, ma nella sua applicazione a beneficio dell’umanità” (Sua Altezza Reale il Principe Mahidol di Songkla).

Articolo di Tanee Sangrat

Il 24 settembre è un giorno importante in Thailandia. Conosciuta come “La giornata del Principe Mahidol” segna la data del decesso di sua Altezza Reale il Principe Mahidol di Songkla nel 1929. 

 Il principe Mahidol è ricordato per il suo contributo al progresso dell’istruzione superiore, in particolar modo nel campo delle scienze base, salute pubblica e ricerca medica. In particolare, vi sono due iniziative degne di nota che sono state accreditate al principe Mahidol che hanno avuto un grande impatto sullo sviluppo del software e dell’hardware del progresso medico del Paese. 

In primo luogo, il principe Mahidol stanziò i suoi fondi personali per borse di studio destinate a studenti thailandesi talentuosi per studiare le scienze di base e altri campi delle scienze applicate nel Regno Unito, nell’Europa continentale e negli Stati Uniti. Questi studenti avrebbero poi fatto ritorno a Siam come i primi gruppi di personale docente ben qualificato a “fare carriera” attraverso l’insegnamento.

In secondo luogo, il principe Mahidol acquistò attrezzature moderne per insegnare le scienze di base e per la costruzione di laboratori e classi. Inoltre, egli ha ricoperto anche il ruolo di presidente del Comitato per l’istituzione della Scuola di Medicina di Siriraj, ad oggi la Facoltà di Medicina, l’ospedale di Siriraj e l’Università Mahidol, che è una delle migliori nel paese. 

Queste e altre azioni significative hanno avuto un impatto a lungo termine sullo sviluppo della medicina e dei servizi di sanità pubblica, a tal punto che il principe Mahidol è stato insignito del titolo “Padre della medicina e della sanità pubblica della Tailandia”.

Nel 1950, a ventun anni dalla sua scomparsa, gli alunni della Facoltà di Medicina, l’ospedale di Siriraj, che hanno ricevuto la borsa di studio per compiere gli studi all’estero, uniti agli altri che hanno ricevuto altre forme di aiuto dal principe, nonché membri del pubblico, si riunirono per erigere un monumento all’ospedale di Siriraj in suo onore. L’anno successivo, la Facoltà di Medicina, l’ospedale di Siriraj hanno dichiarato che il 24 settembre sarebbe riconosciuto come “la giornata del Principe Mahidol” e che importanti iniziative sarebbero state organizzate per commemorare sua Altezza Reale. Il tutto è iniziato con un discorso commemorativo annuale e, nel 1960, si è ampliato con l’inclusione di oggetti in segno di stima per le persone che hanno fatto donazioni per le cure mediche dei poveri presso l’ospedale Siriraj. Questi oggetti si presentavano sotto forma di bandiere triangolari di stoffa bianca con l’immagine del monumento del Principe Mahidol e il messaggio “In commemorazione del Giorno del Principe Mahidol – 24 settembre, Siriraj Hospital” in caratteri verdi. Oggigiorno questi oggetti presentano diversi colori ed esiste una Fondazione dello Siriraj che accetta le donazioni per attrezzature mediche moderne e per le cure mediche per i poveri presso l’ospedale, nonché lo sviluppo di risorse umane per la Facoltà di Medicina.

L’eredità del Principe Mahidol sull’educazione per l’umanità è stata ulteriormente istituzionalizzata dalla Facoltà di Medicina, ospedale Siriraj, con l’intento di istituire Fondazione Premio Principe Mahidol,  per commemorare il centenario di Sua Altezza Reale, il 1° gennaio 1992. La Fondazione è responsabile di portare avanti il suo lascito, attraverso l’organizzazione della Cerimonia del Premio Prince Mahidol, Conferenza del Premio Prince Mahidol e Borsa di studio del Programma Premio Prince Mahidol per i giovani.

Due Premi Principe Mahidol vengono conferiti annualmente a persone o istituzioni che hanno contribuito in modo esemplare al progresso dei servizi medici e di salute pubblica per l’umanità in tutto il mondo. Ogni premio consiste di una medaglia, un certificato e una somma in denaro di US$ 100,000. Qualsiasi autorità medica o sanitaria nazionale, o individuo, o gruppo di individui che agiscono in veste non governativa, possono  presentare le candidature per il premio al Segretario Generale della Fondazione del Premio Principe Mahidol prima del 31 maggio di ogni anno.

Lo scorso anno, il premio nel campo della medicina è stato conferito al professore associato Katalin Karikó, Ph.D., dall’Ungheria e il professore Drew Weissman, M.D., Ph.D. dagli Stati Uniti, per la ricerca congiunta sulla tecnologia mRNA, che ha portato allo sviluppo del vaccino contro il COVID-19, e il professore Pieter Cullis, dottore di ricerca dal Canada, per la sua ricerca pionieristica sulle nanoparticelle lipidiche, che è stata utilizzata per lo sviluppo del vaccino mRNA cosicché potessero penetrare nelle cellule umane. Anutin Charnvirakul, Vice Primo Ministro e Ministro della Sanità Pubblica della Thailandia, ha incontrato i Premiati Prince Mahidol nel gennaio 2022, per congratularsi e lodare il loro impegno nell’assistere centinaia e migliaia di pazienti in tutto il mondo. Ha riconosciuto che i loro traguardi sono un contributo estremamente importante per l’umanità e si è detto onorato che la Thailandia possa svolgere un ruolo di sostegno alla loro ricerca.

La Conferenza del Premio Principe Mahidol (PMAC), è simile a un evento annuale tenuto a Bangkok, che ospita leader ed esperti per discutere delle sfide globali. Il tema della PMAC a gennaio 2022 era “Il mondo che vogliamo: azioni per una società più sostenibile, equa e sana”. PMAC 2022 è incentrato su sei mega trend, che includono l’evoluzione della popolazione, i cambiamenti demografici, l’urbanizzazione, il cambiamento climatico, il cambiamento di uso del territorio e le tecnologie di trasformazione. I partecipanti hanno esplorato le relazioni tra questi problemi e come affrontarli attraverso l’elaborazione di politiche e l’azione collettiva. Si è evidenziato come la crescita della popolazione mondiale avrà un impatto sulle risorse naturali e sulla salute umana.  L’invecchiamento della società comporta un numero crescente di persone affette da malattie non infettive, come ictus o il morbo di Alzheimer, richiedendo un numero maggiore di ricercatori per queste malattie. L’urbanizzazione e l’aumento del numero delle megalopoli ha un grande impatto sull’inquinamento e sulle malattie urbane correlate,  a cui si aggiunge il cambiamento climatico. Tuttavia, il rapido sviluppo di tecnologie trasformative hanno il potere di aiutarci a superare queste sfide globali, facendo progredire le procedure mediche e prevedendo i disastri naturali. Al termine della giornata, i partecipanti hanno ribadito la necessità di unire le forze per creare il mondo che vogliamo, ma allo stesso tempo assicurando che gli avanzamenti tecnologici e le innovazioni salvavita siano equamente distribuite in tutto il mondo. 

Infine, così come il principe Mahidol ha contribuito con fondi per borse di studio per l’istruzione, la Fondazione Premio Principe Mahidol porta avanti la sua eredità attraverso il Programma Giovani Borsa di Studio Principe Mahidol. Lo scorso anno, cinque borse di studio sono state conferite agli studenti della Facoltà di Medicina nei principali ospedali statali, tre dell’ospedale di Siriraj e due dall’ospedale di Ramathibodi, con la certezza che avrebbero restituito il gesto alla società attraverso il loro servizio.

Phurin Areesawangkit della Facoltà di Medicina dell’Ospedale Siriraj è stato uno dei destinatari. dei destinatari.In un’intervista al programma della radio Tailandese “MFA Update”, Phurin ha spiegato che la borsa di studio offre ai giovani interessati alla ricerca medica, sistemi sanitari e politiche sanitarie pubblici, con la possibilità di studiare nelle istituzioni all’avanguardia, in qualsiasi Paese, per un anno. Phurin fu motivato a richiedere la borsa di studio dall’opportunità di imparare da esperti di livello mondiale e di rafforzare le connessioni tra le istituzioni accademiche in Thailandia e quelle all’estero. Ambiva a portare avanti la ricerca per la cura del cancro con la speranza di fornire cure più efficaci per i pazienti oncologici in Thailandia. Egli è un esempio dell’eredità potente e duratura lasciata dal Principe Mahidol, portando avanti la fiaccola della ricerca di Sua Maestà dell’apprendimento a beneficio dell’umanità e dell’istruzione per l’umanità. 

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Tanee Sangrat è direttore generale del Dipartimento dell’Informazione e portavoce del Ministero degli Affari Esteri della Thailandia. È anche presidente del sottocomitato per le relazioni pubbliche della Fondazione del Premio Principe Mahidol e ha lavorato a stretto contatto con la Fondazione in questa veste. Durante il suo periodo di lavoro presso il Dipartimento dell’Informazione, ha dato importanza alla diplomazia pubblica e al coinvolgimento dei giovani nelle relazioni internazionali attraverso varie attività.  È stato console generale a Los Angeles, ambasciatore della Thailandia in Vietnam e attualmente ambasciatore della Thailandia in Vietnam.

Intervista a Mario Vattani, Ambasciatore d’Italia a Singapore

L’Ambasciatore d’Italia a Singapore racconta l’attività della sede diplomatica nella città-stato, illustra i risultati raggiunti e le potenzialità da sfruttare

Intervista a cura di Lorenzo Lamperti

Ambasciatore Vattani, com’è stato l’impatto con Singapore e come si è evoluta l’attività dell’Ambasciata in questi mesi?

Ora che è passato un anno dal mio arrivo posso tracciare un primo bilancio. Abbiamo sfruttato i primi mesi in cui, a causa delle restrizioni anti Covid, era difficile avere incontri e svolgere attività verso l’esterno per lavorare su progetti strutturali. In particolare, abbiamo spostato la sede. Non si tratta di un semplice trasferimento, ma del simbolo della presa d’atto da parte dell’Italia della crescente importanza di Singapore in questa regione. Il Sud-Est asiatico avrà un ruolo sempre più strategico nei prossimi 20 anni e Singapore ha un’importanza speciale. Prima questa era una sede piccola con poco personale, all’opposto di quello che accade con le aziende internazionale che da tempo usano proprio Singapore come base d’accesso alla regione. L’apertura della nuova sede dell’Ambasciata si inserisce in una dinamica di maggiore presenza in cui c’è stata l’apertura dell’ufficio della difesa e quella della Banca d’Italia.

Quali sono i fattori che stanno rendendo Singapore sempre più centrale?

I fattori sono diversi. Certo, anche le dinamiche degli ultimi anni a Hong Kong hanno contribuito. Anche dalla Cina c’è un flusso costante di professionisti e aziende, soprattutto da Shanghai. Quando sono arrivato questo processo era già cominciato e quindi siamo riusciti ad ampliarci. Il vantaggio è quello di poter mostrare adesso ai singaporiani che c’è stato un cambio di passo e il risultato è che l’Italia ha una visibilità maggiore. Sia gli uffici della nostra rappresentanza, sia le stesse aziende. 

Quali iniziative sono state avviate dopo l’allentamento delle restrizioni pandemiche?

Abbiamo avviato un’azione visibile sul territorio. Per esempio è stato organizzato il primo Italian Festival, formula che avevo utilizzato già in Giappone dove lavoravo a capo dell’Ufficio Commerciale. L’idea di fondo è moltiplicare sotto lo stesso logo tutta una serie di attività senza limitarci alle aree di presenza più classiche dell’Italia, dal food al fashion fino al turismo. Abbiamo lavorato a eventi anche su scienza, tecnologia e ricerca. Stiamo cercando di far conoscere anche questi lati dell’Italia. Siccome Singapore non è un hub manifatturiero, non esiste un’intima conoscenza del nostro sistema produttivo e della nostra meccanica, al contrario di altri Paesi. Il Giappone importa alta tecnologia made in Italy da decenni, a Singapore invece conoscono soprattutto i nostri prodotti. Eppure qui abbiamo grandi aziende presenti in infrastrutture importanti come Mapei nella costruzione del porto. Tecnologia italiana è presente anche in Gardens by the Bay e nella metropolitana. Abbiamo approfittato del recente Gran Premio di Formula Uno, che qui ha rappresentato davvero il ritorno di Singapore sulla scena internazionale dopo la pandemia. Noi come Italia abbiamo fatto uno showcase in Ambasciata di tutte le aziende più importanti che sono legate al mondo della Formula Uno. Non solo la Ferrari, ma anche chi fa le infrastrutture o gli pneumatici. Anche chi si occupava delle luci era un’azienda italiana. 

Quanto è importante pilotare l’azione sull’agenda del Paese ospitante?

L’errore che si fa in Asia ogni tanto è arrivare qui guardandosi l’ombelico, invece bisogna usare il percorso opposto: guardare l’altro e adeguarsi a quello che fa, per fargli capire che quello che io faccio funziona anche per lui. Singapore poi è un Paese con una classe dirigente orgogliosa di quello che sta portando a termine, bisogna fargli capire che siamo il partner giusto. Ad esempio, durante la design week l’Italia è stato l’unico Paese presente con una mostra sui nuovi materiali e sulle startup italiane che riciclano in modo intelligente. Siamo stati l’unico Paese partner del Design Center di Singapore durante la Design Week. Ora grazie alla Farnesina abbiamo gli strumenti per avere un atteggiamento più propositivo: abbiamo una showroom, la sede è al centro del Financial District della città. C’è uno spazio che prende il nome di Sala Italia dove verranno adibite mostre. Anzi già è in funzione: è appena venuto qui Giordano Bruno Guerri per un incontro su D’Annunzio, anche la Pirelli ha fatto qui la sua mostra. Io ho firmato due decreti che mettono a disposizione delle aziende sia la residenza sia la Sala Italia 

Di recente è entrato anche in funzione l’accordo bilaterale di cooperazione scientifica e tecnologica. Quali vantaggi può portare?

L’accordo fu firmato nel 2016, ma mancava il protocollo esecutivo. Da quando siamo arrivati ci siamo messi in moto per riattivarlo. Ora è finalmente in funzione. Ci saranno diversi progetti legati anche alle startup su cui abbiamo terreno da recuperare. Il vantaggio di Singapore è che qui c’è un vasto hub di talenti ed è un laboratorio di ricerca dalle grandissime potenzialità. 

Singapore ha un ruolo rilevante anche a livello politico nell’area, oltre a quello economico e finanziario. 

Assolutamente sì, la classe dirigente è a un livello molto alto e il governo locale è ascoltato e rispettato ovunque. Singapore gioca una partita molto complessa, grazie alla sua stabilità e alla sua posizione strategica svolge un ruolo di garante un po’ per tutti. Aggiungo che per l’Italia è interessante anche trarre lezioni per la gestione di una società multi-identitaria in modo efficace. Così come si può osservare l’esperienza di Singapore nella lotta al terrorismo. Anche questi sono temi su cui è bene approfondire il dialogo bilaterale.

Monarchie asiatiche: il ruolo delle famiglie reali nei Paesi ASEAN

Alcuni Paesi ASEAN ospitano ancora alcune delle famiglie reali più ricche al mondo. Come vivono i monarchi del Sud-Est asiatico oggi e quale ruolo rivestono?

Elisabetta II è morta, Rama IX è morto…e anche io non mi sento molto bene. Nel mondo dei Paesi ASEAN sono diverse le monarchie che continuano ad avere, in maggiore o minor parte, una certa influenza sulle dinamiche politiche, sociali ed economiche del proprio paese. Con la sola eccezione del Brunei, dove permane un regime di monarchia pressoché assoluta, gli altri stati della regione hanno iniziato da tempo un lungo processo di ridefinizione del proprio ruolo in un mondo sempre più moderno.

Alle famiglie reali sono ancora riservate molte prerogative di potere e rappresentanza, oltre a rimanere delle figure influenti in virtù delle enormi ricchezze possedute. Le dinastie asiatiche fanno parte dell’identità nazionale e ne riflettono alcuni tratti distintivi, come la religione e le consuetudini dell’etnia maggioritaria. L’opinione pubblica sui sovrani ASEAN è altrettanto varia, tra monarchi messi in cattiva luce da corruzione ed eccessi, e figure più apprezzate dalla popolazione per i loro passi avanti nel campo dei diritti civili e sociali.

Thailandia

Il colpo di stato del 2014 non è stato l’unico evento che ha scombussolato l’ordine pubblico thailandese negli ultimi anni. La morte di re Rama IX (Bhumibol Adulyadej), avvenuta nel 2016 dopo 70 anni di reggenza, è stata oggetto di uno dei più spettacolari lutti nazionali. Oltre 250 mila persone si sono riversate nella capitale per celebrare i funerali del monarca, che è stato cremato in un edificio appositamente costruito per l’occasione. Ne è seguito un intero anno di lutto nazionale, che per i primi 30 giorni comprendeva anche il divieto a organizzare feste o accendere la musica nei locali pubblici.

La dinastia Chakri è salita al trono nel 1782 e ha vissuto anni di prosperità e allargamento della propria influenza nella regione. Nel XIX secolo re Rama IV riuscì anche a negoziare degli accordi con il Regno Unito che permisero al paese di mantenere una certa indipendenza (a differenza del vicinato) e avviarsi verso la costruzione di uno stato moderno. L’ascesa di re Rama IX al trono nel 1946 gioca un ruolo fondamentale nella storia thailandese in virtù dei suoi tentativi di tenere insieme il paese davanti a numerosi colpi di stato. Rama IX è stato il “re del popolo” per le sue attività filantropiche e di sostegno alla democratizzazione del Paese, mentre il successore Maha Vajiralongkorn (Rama X) ha dovuto subire delle critiche in questi anni. Come stimò Forbes nel 2011, la casa reale thailandese è la più ricca al mondo, con un patrimonio stimato di almeno 30 miliardi di dollari. La Thailandia possiede una delle più severe leggi sulla Lesa maestà, che negli ultimi anni è stata utilizzata spesso per contrastare le proteste contro il governo che hanno talvolta sfociato in posizioni anti monarchiche.

Cambogia

Anche la Cambogia ha introdotto una legge sulla lesa maestà nel 2018, A partire dal 1993 il re della Cambogia viene eletto dal Consiglio reale del trono, un gruppo di nove autorità cambogiane che comprende il Presidente del Consiglio, il Presidente dell’Assemblea nazionale e il Presidente del Senato. Il criterio per accedere alla selezione? Avere almeno trent’anni e discendere dalla famiglia del re Ang Duong (1796-1860), che oggi si divide nelle casate di Norodom e Sisowath.

Re Norodom Sihamoni continua ad avere un certo potere decisionale nella scelta di alcune cariche governative, tra cui il primo ministro. Sihamoni gode di un certo rispetto anche all’estero, contrariamente al resto della famiglia reale, che nel 2006 i funzionari Usa nel paese avevano definito “una tragedia, una commedia e un melodramma messi insieme che sarebbero in grado di ispirare almeno una mezza dozzina di opere shakespeariane” (commento reso noto al pubblico solo con la diffusione dei cablaggi da parte di Wikileaks).

Malesia

La Cambogia non è l’unico paese ad aver adottato una monarchia costituzionale diversa dallo standard ereditario di una sola dinastia. Anche la Malesia adotta un sistema di governance che prevede l’elezione di un monarca ogni cinque anni, secondo una turnazione che interessa i sultani di nove dei tredici stati in cui è suddiviso il paese. Lo Yang di-Pertuan Agong (“Colui che è fatto Signore”) svolge soprattutto un ruolo di rappresentanza della comunità malese e musulmana. A partire dagli anni Novanta, infatti, i sultani hanno perso gradualmente i propri poteri, fino all’eliminazione della stessa immunità politica.

Lo Yang di-Pertuan Agong può scegliere il primo ministro, ma non può destituirlo. Svolge un ruolo di rappresentanza nelle missioni diplomatiche e viene considerato il capo simbolico delle forze armate. I sultani, in virtù del loro ruolo di “guardiani dell’Islam”, si sono esposti spesso sui temi della corruzione della classe dirigente e dell’estremismo islamico (i cui valori spesso si intrecciano con il suprematismo malese). Negli ultimi anni, per esempio, si sono opposti all’implementazione dello Hudud, un sottogruppo di normative della Sharia (il corpus di precetti derivati dal Corano e che alcuni paesi islamici integrano nel proprio sistema di leggi).

Indonesia

Ancora più marginale è il ruolo delle famiglie reali indonesiane, che non detengono ufficialmente il potere ma mantengono uno status di rappresentanza. La connotazione identitaria, in questo caso, è ancora forte: in alcune aree del paese, come a Giava, Bali e nel Borneo. Ne è un esempio la sopravvivenza della cultura giavanese Halus (“raffinata”) che ruota tutta intorno ai cerimoniali del sultanato di Yogyakarta. Il re Hamengkubuwono X è l’unico sultano riconosciuto dal governo ed è salito agli onori della cronaca per aver rimosso l’obbligatorietà della discendenza maschile al trono. Un decreto del 2015, infatti, ha reso neutrale il titolo di sultano, aprendo così la carriera reale alle sue cinque figlie. Ha anche messo fine alla tradizionale poligamia dei sultani di Giava, sempre in un’ottica di modernizzazione del sultanato e per conferire maggiori diritti alle donne.

Brunei

Ben diversa è l’influenza del sultano del Brunei, unico monarca che ancora oggi detiene il potere assoluto nel Sud-Est asiatico. E non è l’unico record: il Guinness del primati classifica l’Istana Nurul Iman (“Palazzo della luce della fede”) come la residenza reale più grande al mondo. L’edificio occupa oltre 200 mila metri quadri con le sue 1788 stanze, 257 bagni, una sala dei banchetti in grado di ospitare fino a 5mila persone e una stalla climatizzata che ospita 200 pony da polo. Hassanal Bolkiah, oltre a essere uno dei sovrani più ricchi al mondo, è anche diventato il monarca più longevo dopo la morte di Elisabetta II e regna ininterrottamente dal 1967.

Il Consiglio legislativo del Brunei è stato istituito con la Costituzione del 1959 ma, di fatto, i suoi membri hanno solo poteri consultivi. In occasione delle rivolte del 1962, infatti, il re ottenne i pieni poteri dichiarando lo stato di emergenza, tuttora in vigore. Diversamente dalla Malesia, le leggi della Sharia fanno parte del corpus normativo del Brunei insieme ad alcune leggi ereditate dal periodo coloniale.

ASEAN patria globale della resilienza

Il Sud-Est asiatico continua a dare segnali positivi sulle catene di approvvigionamento ma anche sulla solidità del suo mercato azionario

Editoriale a cura di Alessio Piazza

Avviso ai naviganti: le catene di approvvigionamento non sono ancora distrutte, quantomeno non in Asia e in particolare nel Sud-Est asiatico. In un mondo in cui le tensioni geopolitiche e militari si moltiplicano, gli scambi commerciali tra le principali nazioni asiatiche sono in piena espansione e le imprese continuano a perseguire crescita. Non è certo un caso che, mentre altrove spirano venti di protezionismo, i Paesi dell’ASEAN abbiano appena ratificato la Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) e siano al centro di molteplici iniziative regionali. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, nel prossimo futuro i Paesi dell’ASEAN cresceranno più velocemente della Cina. Le classi medie di questi Paesi sono al centro di una fortissima crescita, il che li rende potenziali mercati, non solo centri di produzione. La popolazione della regione è superiore a quella degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, è più giovane e offre manodopera poco costosa, abbinando competenze in continua evoluzione. Lo dimostra lo spostamento di segmenti produttivi sempre più sofisticati come quello dell’Apple Watch. Il settore tecnologico è pronto a un vero e proprio boom. Recenti report individuano i comparti di elettronica, componentistica aerospaziale e semiconduttori come quelli potenzialmente più promettenti. Ma i Paesi ASEAN forniscono segnali di resilienza anche sul mercato azionario. Soprattutto grazie a un netto aumento dei consumi guidato dal turismo e dalle industrie connesse, i titoli del Sud-Est asiatico si stanno rivelando più solidi rispetto a quelli dell’Asia settentrionale. La regione, tuttavia, non è immune dalla pressione inflazionistica globale e dagli aggressivi rialzi dei tassi della Federal Reserve statunitense, che hanno provocato una fuga di capitali. Secondo gli analisti, però, la regione resisterà grazie agli ampi mercati interni e all’ulteriore diversificazione della catena di approvvigionamento dalla Cina. A fine settembre, l’indice MSCI ASEAN – un indicatore dei titoli azionari più seguiti della regione – era in crescita dell’1,4% rispetto al trimestre precedente in termini di valuta locale. La pressione inflazionistica nel Sud-Est asiatico è stata meno acuta rispetto a quella di tanti altri mercati. Ulteriore segnale di una regione destinata a rivestire un ruolo sempre più centrale dal punto di vista commerciale.

L’Indonesia fonte alternativa dell’import europeo

La guerra in Ucraina sta cambiando profondamente le traiettorie dell’import europeo, ridefinendo il ruolo di Giacarta sotto il profilo energetico e delle risorse naturali 

Le esportazioni dell’Indonesia – in particolare acciaio, carbone e olio di palma – hanno raggiunto un nuovo massimo storico a marzo, quando l’invasione dell’Ucraina ha innescato un aumento dei prezzi delle materie prime globali. Si stima un aumento dell’export del 44,36% su base annua, per un valore totale di 26,5 miliardi di dollari lo scorso marzo. La più grande economia del Sud-Est asiatico ha registrato un surplus commerciale di 4,53 miliardi di dollari, battendo tutte le stime degli economisti.

L’Indonesia – il più grande esportatore mondiale di carbone termico – in genere non effettua spedizioni in Europa, ma a causa della nuova questione geopolitica la domanda di carbone indonesiano sta aumentando in modo significativo, come affermato da Pandu Sjahrir, presidente della Indonesian Coal Mining Association. La Germania si sta già posizionando tra i migliori acquirenti europei. Entro il 2023 potrebbe diventare il secondo o terzo importatore di carbone indonesiano, dopo Cina e India.

Il numero delle spedizioni di carbone termico dell’Indonesia all’estero sta aumentando a seguito del divieto europeo sull’acquisto di carbone dalla Russia, entrato in vigore ad agosto. La Russia –  il terzo fornitore mondiale di carbone –  domina le vendite in Europa, ma il divieto ha anche causato l’interruzione di alcune forniture di gas russo al continente.

Ora, con l’inverno europeo alle porte e l’imminente necessità di soddisfare il fabbisogno di riscaldamento domestico, le miniere indonesiane puntano all’aumento della produzione. PT Bukit Asam – nota anche come PTBA – è stato tra i primi player locali a spedire carbone in Europa. L’azienda ha dichiarato di aver esportato 147 mila tonnellate di carburante in Italia da marzo a luglio, mentre continua la fase di negoziazione con Germania e Polonia, per penetrare questi mercati a prezzi competitivi. Bukit Asam ha prodotto 15,9 milioni di tonnellate di carbone tra gennaio e giugno, il 20% in più rispetto allo stesso periodo nel 2021. Anche Bumi Resources – il più grande produttore indonesiano di carbone per volume – punta ad aumentare la produzione di quest’anno, in seguito all’inizio delle trattative con Germania, Polonia e Italia. Anche PT Adaro Energy Indonesia si pone gli stessi obiettivi: portare la produzione di carbone da 58 milioni di tonnellate a 60 milioni nel 2022, dichiarando di aver già spedito circa 300 mila tonnellate di carbone nei Paesi Bassi e in Spagna. A causa dell’impennata dei prezzi del carbone, queste aziende stanno ottenendo anche profitti elevatissimi. PTBA ha registrato un utile netto di 415 milioni di dollari nella prima metà dell’anno, in crescita del 246% rispetto allo stesso periodo nel 2021, quello di Adaro è balzato di sette volte a 1,2 miliardi di dollari e quello di Bayan Resources si è quasi triplicato a 970 milioni di dollari. Anche i prezzi delle azioni sono nettamente aumentati da inizio anno, arrivando a un +60%.

Oltre alle miniere di carbone, l’Indonesia detiene anche le più grandi riserve di nichel del mondo. Si prevede che nei prossimi anni fornirà la maggior parte del nichel necessario alla fiorente industria mondiale dei veicoli elettrici.  Il governo indonesiano sta perseguendo un programma ambizioso per incoraggiare la produzione di batterie e veicoli da parte di aziende straniere e posizionare il Paese come attore chiave del settore. I progetti di lavorazione del nichel sono per lo più guidati da attori cinesi, tra cui il gigante dell’acciaio inossidabile Tsingshan e il produttore di batterie Contemporary Amperex Technology.

Di recente, l’unità indonesiana del gigante minerario brasiliano Vale ha intrapreso tre progetti di lavorazione del nichel per un valore complessivo di 8,6 miliardi di dollari con partner importanti, tra cui il produttore cinese di materiali per batterie Zhejiang Huayou Cobalt e la casa automobilistica statunitense Ford Motor.

Il protrarsi della guerra in Ucraina continuerà ad aprire nuovi scenari per l’Indonesia, che intanto conferma il suo ruolo privilegiato per ricchezza di risorse minerarie e naturali. Una nuova sfida per le aziende estrattrici e per la domanda interna.

La terza via di difesa asiatica

Si moltiplicano sigle e acronimi per le politiche nell’Indo-Pacifico. Ma mentre Cina e Stati Uniti cercano di consolidare la propria influenza in Asia, i Paesi del continente provano a ripararsi dalle conseguenze di questo antagonismo istituendo accordi bilaterali che aiutino a mantenere un certo grado di interoperabilità senza essere costretti a prendere apertamente le parti di una o dell’altra potenza

Articolo di Lucrezia Goldin

O con me, o contro di me. A meno di trovare una terza via per consolidare la difesa. Nella sempre più polarizzata competizione tra Cina e Stati Uniti, crescono i rapporti bilaterali in materia di sicurezza tra diversi paesi asiatici, che con un approccio fatto di singoli accordi di cooperazione militare provano a svincolarsi dal magnetismo di Washington e Pechino, sfruttando l’interoperabilità regionale come chiave per l’indipendenza dalle due potenze. Un approccio che operando senza fragore e senza evidenti finalità anti-Cina o anti-Usa (come invece vengono percepite alcune iniziative multilaterali come Quad e Aukus da parte cinese e Global Security Initiative da parte statunitense) si presenta nella forma di un’architettura alternativa che consente ai paesi asiatici di munirsi di strumenti di deterrenza senza il rischio di infastidire le due potenze.

Dal Giappone alla Corea del Sud, passando per Singapore e Filippine, gli scambi bilaterali in materia di tecnologie di sicurezza ed equipaggiamenti per la difesa mostrano un’Asia che preferirebbe non rimanere incastrata nel fuoco incrociato a colpi di acronimi altisonanti in corso tra Cina e Stati Uniti. Un muoversi nelle retrovie fatto di accordi apparentemente di secondo piano ma strategici, soprattutto se pensati come strumento di indipendenza a lungo termine dall’ottica dei grandi blocchi antagonisti.  

Capofila indiscusso di questa tendenza è il Giappone. Da diversi anni Tokyo sta provando a risollevare la propria industria della difesa e per farlo sta intensificando i rapporti con diversi paesi del Sud-Est asiatico. Già nel 2016 Giappone e Filippine firmavano un accordo per la difesa, con il quale Tokyo si impegnava a fornire equipaggiamento e tecnologia in ambito di sicurezza a Manila. Sotto la presidenza di Rodrigo Duterte poi, un aggiornamento dello stesso accordo nell’estate 2020 ha portato alla vendita di sistemi di controllo radar della Mitsubishi Electric al governo filippino, segnando la prima vendita di tecnologia di difesa di fattura totalmente giapponese verso un paese del Sud-Est asiatico. Con la Malesia esiste invece il Japan-Malaysia Defense Pact  del 2018, mentre sui rapporti con Indonesia e Vietnam l’attenzione dell’ex premier giapponese Yoshihide Suga ha portato alla firma di due accordi per il trasferimento di equipaggiamento e tecnologia per la difesa (rispettivamente a marzo e settembre 2021). Anche provando a non attirare troppo l’attenzione politica internazionale con questi accordi, l’obiettivo dichiarato di Tokyo è quello di promuovere la propria visione di un Indo-Pacifico “libero e aperto”. Visione confermata anche dal ministro della Difesa Kishi Nobuo lo scorso settembre durante una visita ad Hanoi, nella quale ha parlato della cooperazione con il Vietnam come di un intervento finalizzato a  “contribuire alla pace e alla stabilità della regione e dell’intera comunità internazionale”.

Su questo fronte anche il nuovo primo ministro Fumio Kishida non sta perdendo tempo. Lo scorso maggio il premier giapponese e il suo omologo thailandese Prayut Chan-o-cha hanno firmato un accordo per il trasferimento di equipaggiamento militare verso la Thailandia, seguito poco dall’annuncio del governo giapponese di voler riformare la normativa sull’export di materiali militari così da consentire l’esportazione di missili e caccia verso 12 paesi tra cui India, Vietnam, Thailandia, Malesia, Filippine e Australia a partire dal 2023.  Anche con Singapore, come annunciato durante un incontro a margine del summit asiatico sulla sicurezza, lo Shangri-La Dialogue, saranno presto avviati i negoziati per raggiungere un accordo sul trasferimento di equipaggiamenti e tecnologia per la difesa che includono anche le aree di sicurezza informatica e armi esplosive di natura chimica, biologica, radiologica e nucleare (CBRNE). Un Memorandum sugli scambi per la Difesa potenziato, firmato dai rispettivi ministri della difesa Kishi Nobuo e Ng Eng Hene, che va a integrare quello stipulato tra i due paesi nel 2009. L’obiettivo: muoversi verso “una cooperazione in materia di sicurezza più concreta”. Meno chiacchiere, più accordi. Senza Cina e Usa di mezzo.

Partecipazione attiva anche da parte dell’India, che con l’India Act East Policy ha creato piattaforme di dialogo e di esercitazioni marittime congiunte con Singapore e Thailandia, le SIMBEX e SITMEX, con la finalità di mantenere la sicurezza regionale. Alle Filippine Nuova Delhi ha fornito i suoi sistemi missilistici Brahmos e ha predisposto lo spostamento di diverse navi del comando orientale dell’India per favorire le esercitazioni bilaterali con la marina filippina. Anche con il Vietnam il dialogo è stato produttivo e privo dell’ingerenza statunitense o cinese. Nel 2016 tra Hanoi e Nuove Delhi veniva istituita una linea di credito di 500 milioni di dollari per l’acquisto di nuove piattaforme di difesa e oggi la maggior parte dei piloti vietnamiti viene formata presso le basi di addestramento indiane in cambio dell’accesso alle basi navali e aeree di Cham Ranh Bay. Con la Thailandia infine, l’India condivide obiettivi in ambito marittimo legati a tematiche quali pesca illegale, traffico di droga, contrabbando e pirateria, confermando un’interoperabilità che rimane forte tra i due paesi sia per i loro trascorsi storico-culturali che per i loro interessi comuni legati al confine marittimo nel Mar delle Andamane, punto di accesso fondamentale per il commercio nello Stretto di Malacca.

Anche la Corea del Sud ha dato segnali di voler aderire a questa strategia del “dietro le quinte”. L’amministrazione di Moon Jae-in aveva cominciato a intensificare i rapporti con India e paesi ASEAN tramite la New Southern Policy del 2017, senza riuscire però a concretizzare molti accordi e cooperazioni indipendenti dalle piattaforme di sicurezza già esistenti. Il caso della mancata partecipazione indonesiana nella realizzazione dei nuovi caccia Kf-X/IF-X ne è un esempio. Dopo un accordo di difesa tra Corea del Sud e Indonesia stipulato nel 2013, i due paesi hanno “riscontrato diverse complicazioni” nella realizzazione congiunta di nuovi equipaggiamenti, ma ad oggi mantengono buone relazioni e alla presentazione dei nuovi caccia coreani KF-X del 2021 era stato invitato anche il ministro della Difesa indonesiano Prabowo Subianto. Sempre nell’ambito degli incontri a margine del Shangri-La Dialogue invece, Singapore e Corea del Sud hanno aggiornato il loro Memorandum of Understanding in materia di cooperazione sulla difesa, aggiungendo tra le priorità di collaborazione la sicurezza informatica e la cooperazione marittima.

L’Asia si muove anche senza Cina e Stati Uniti, consapevole che una eccessiva dipendenza da una delle due parti in materia di sicurezza può rivelarsi controproducente. Per le dispute in essere con Pechino da una parte, per la recente imprevedibilità mostrata da Washington da Donald Trump in poi all’altra. Piccoli accordi in tempi di grandi patti multilaterali segnano quindi una terza via per provare a mantenere una stabilità regionale senza essere semplici pedine nel gioco di altri. Ma gli accordi cominciano a essere tanti. E se considerati come fili sottilissimi di una più ampia e distesa tela strategica, la formula dell’accordo bilaterale come mezzo inoffensivo di manovra potrebbe essere rimessa in discussione. 

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