Cina-ASEAN e crescita globale

Nel 2022 e 2023 si prevede che i Paesi del Sud-Est cresceranno di più della Cina e sopra la media dell’Asia-Pacifico

Editoriale a cura di Lorenzo Riccardi

Managing Partner RsA Asia

Il Ministero dei Trasporti cinese ha annunciato la decisione di istituire un ufficio speciale per supervisionare il funzionamento del nuovo corridoio via terra e mare per la logistica e il commercio, che collega la Cina occidentale con diversi Paesi dell’ASEAN. Il corridoio, con centro operativo a Chongqing, collega 14 province cinese con 310 porti in 107 Paesi e regioni del mondo, ed in particolare promuove il commercio tra la Cina e i Paesi dell’ASEAN nell’ambito dell’accordo di Partenariato Economico Globale Regionale (RCEP). Nel 2022, il Ministero dei trasporti si è posto l’obiettivo di ampliare la capacità di trasporto del corridoio con nuove infrastrutture quali ferrovie, autostrade, porti ed aeroporti, oltre a promuovere lo sviluppo di un hub internazionale Chengdu-Chongqing.  L’ASEAN è una comunità eterogenea di nazioni unite da obiettivi comuni: tra i Paesi membri vi sono infatti città-stato con un elevato PIL pro-capite (Singapore e Brunei), nazioni popolose con un’economia dinamica e in espansione (Indonesia, Malesia, Filippine, Thailandia e Vietnam), e Paesi meno avanzati con un reddito medio-basso (Cambogia, Laos, e Myanmar). Nonostante le differenze sociali ed economiche, l’ASEAN è una delle principali aree di libero scambio con una quota di oltre il 7,5 per cento del commercio mondiale. I Paesi del Sud-Est asiatico, che con 3.300 miliardi di dollari di PIL aggregato rappresentano circa il 3,5 per cento del PIL mondiale, sono stati fortemente impattati dalla pandemia: nel 2020, il PIL regionale si è contratto del 3,2 per cento (con l’eccezione del Vietnam, cresciuto nell’anno di oltre il 2,9 per cento), per poi rimbalzare nel 2021 di oltre 3 per cento, nonostante il -18 per cento registrato in Myanmar in seguito alle tensioni politiche. Le stime più recenti, diffuse in occasione del meeting dei Ministri dell’Economia dell’associazione, prevedono una crescita del 4,9 per cento per il 2022 e del 5,2 per cento per il 2023, superiori ai tassi di crescita che il Fondo Monetario Internazionale prevede per la Cina (4,4 per cento e 5,1 per cento), e per l’intera regione Asia Pacific (4,7 per cento e 4,9 per cento). È utile evidenziare che il Sud-Est Asiatico è il principale partner commerciale della Cina (878 miliardi di dollari di interscambio nel 2021, e 371 miliardi nei primi cinque mesi del 2022, in rialzo del 10,2 per cento rispetto allo stesso periodo 2021), nonché terzo mercato di destinazione dei beni cinesi e principale origine delle importazioni cinesi. Cina e ASEAN sono sempre più partner strategici nel ruolo crescente che ha oggi l’Asia sul commercio e gli investimenti  dell’economia globale.

Cambogia e Myanmar nuovi hub manifatturieri nel Sud-Est asiatico

Alcune pressioni esogene su Pechino hanno favorito la delocalizzazione degli impianti produttivi del manifatturiero dalla Cina al Sud-Est asiatico. I primi beneficiari di questa transizione oltre al Vietnam sono Cambogia e Myanmar

Le catene globali del valore nel settore manifatturiero spostano il loro baricentro produttivo dalla Cina al Sud-Est asiatico. Si tratta di uno di quei fenomeni che il diffondersi della pandemia ha accelerato, innescato dall’aumento del costo della manodopera cinese e poi confermato da fattori esogeni come la guerra commerciale tra Washington e Pechino degli ultimi anni. L’esodo del settore manifatturiero sembra premiare così alcuni paesi del vicinato meridionale: anche se il Vietnam è sempre stato una destinazione popolare per gli ordini di esportazione dalla Cina, ora sono Cambogia e Myanmar i contendenti del ruolo di hub manifatturiero in Asia orientale. 

La dinamica di delocalizzazione intraregionale era stata inaugurata dall’aumento del costo del lavoro in Cina, che aveva spinto diverse aziende dei settori manifatturiero e tessile a esplorare altri mercati della regione. Date le restrizioni causate dalla pandemia da Covid-19, ad esempio, Apple, Samsung e Xiaomi hanno recentemente spostato le loro linee di assemblaggio in Vietnam, mentre Pechino era alle prese con le nuove varianti del virus. Hanoi ha offerto a quelle multinazionali che un tempo avevano costruito gli stabilimenti produttivi in Cina nell’ottica minimizzare i costi e massimizzare i profitti un accesso agevolato al promettente mercato del Sud-Est asiatico, che ha ereditato dal vicino settentrionale il ruolo di nuova frontiera della globalizzazione. 

Ma oltre al Vietnam, da tempo considerato la locomotiva del Sud-Est asiatico, altri paesi del blocco ASEAN si contendono la funzione di hub produttivi regionali. Secondo Wang Huanan, un esperto del settore manifatturiero, “il Vietnam è stata una destinazione molto popolare (…) ma Myanmar e Cambogia stanno recuperando terreno negli ultimi anni”. Naypyidaw e Pnom Penh hanno infatti implementato oculate strategie di politica economica per attirare quanti più investimenti diretti esteri possibile, e incentivare così la propria crescita interna. Tra esenzioni fiscali e incentivi politici, si sono resi appetibili agli occhi delle multinazionali con sede in Asia orientale, alla ricerca di nuove opportunità di profitto nei mercati emergenti del Sud-Est. 

In Cambogia, il volume totale degli scambi commerciali ha raggiunto i 22,47 miliardi di dollari nei primi cinque mesi del 2022, con un aumento del 19,7% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Le esportazioni totali hanno visto un aumento del 34,5% su base annua, mentre i beni più esportati sono stati gli indumenti, gli articoli in pelle e le calzature. D’altra parte, il Myanmar è una destinazione molto popolare per le fabbriche di abbigliamento cinesi. Il numero di queste aziende, secondo gli esperti, è passato da meno di 100 nel 2012 a più di 500 nel 2019. Tra il 2012 e il 2019, la crescita media annua delle esportazioni di abbigliamento del Myanmar ha superato il 18% e in alcuni anni ha superato il 50%. Lo sviluppo del settore è stato rallentato solo dalla pandemia nel 2020 e dal golpe militare dello scorso anno. 

Mentre l’economia cinese si riprende dalle restrizioni della severa politica “Zero Covid”, le multinazionali che avevano beneficiato del basso costo della manodopera cinese guardano ora al vicinato meridionale alla ricerca di nuove opportunità di profitto. Tra i mercati emergenti del blocco ASEAN, il Vietnam guida la crescita regionale. Ma occorre tenere d’occhio l’incipiente sviluppo di Cambogia e Myanmar, tra i maggiori beneficiari dell’esodo manifatturiero cinese.

Filippine: nuovo Marcos, vecchia diplomazia

Il figlio dell’ex dittatore di Manila ha dichiarato di essere a favore di una “politica estera indipendente”, usando un’espressione coniata da Duterte, traducibile in un’ambiguità strategica dalle sfumature filo-cinesi

Articolo di Lucia Gragnani

Si è conclusa l’era di Rodrigo Duterte alla presidenza delle Filippine. Dopo sei anni, caratterizzati dalla lotta alla droga sul piano domestico e da una politica ambigua a livello internazionale, l’ex-presidente si è ritirato ufficialmente dalla vita politica. Con le elezioni di maggio 2022, gli è subentrato Ferdinand Marcos Jr. detto Bongbong. Nonostante la storia truce della famiglia Marcos, segnata da 14 anni di dittatura militare a guida del padre Ferdinand Marcos, Bongbong è riuscito a portare a casa una vittoria senza precedenti dai tempi della fine della dittatura. 

I 90 giorni di campagna elettorale, caratterizzati da uno sforzo di stampo orwelliano per riabilitare l’immagine della famiglia Marcos, hanno dato i loro frutti. Con Sara Duterte alla vicepresidenza, le elezioni del 2022 si sono confermate una vittoria per le dinastie politiche filippine e un autogol per la democrazia di Manila.

Durante la sua campagna elettorale, Duterte aveva dichiarato prioritarie le questioni del Mar Cinese Meridionale, mettendole a dettare i rapporti con la Cina. In realtà, i rapporti tra Filippine e Cina si sono sviluppati in modo relativamente positivo, con Manila rivolgendo lo sguardo strategico più verso Pechino e meno verso Washington nei primi anni di presidenza.

La politica estera del neoeletto Marcos si presenta della stessa matrice. Anche lui ha infatti dichiarato di essere a favore di una “politica estera indipendente”, usando un’espressione coniata da Duterte, traducibile in un’ambiguità strategica dalle sfumature filo-pechinesi. In campagna elettorale, Bongbong ha annunciato di voler intensificare i rapporti bilaterali con la Cina, e di voler negoziare un accordo per superare le dispute nel Mar Cinese Meridionale, in stallo dall’arbitrato del 2016. 

Il tribunale, interpellato nel 2013 dalle Filippine contro la Cina al tribunale della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS), aveva dichiarato le rivendicazioni storiche di Pechino come illecite, e denunciato il comportamento belligerante della Cina nel Mar Cinese Meridionale. Il risultato, visto dalle Filippine come una vittoria, era stato prontamente rifiutato dalla controparte.

Le controversie riguardanti la sovranità sulle formazioni del Mar Cinese Meridionale rimangono l’ostacolo principale nei rapporti tra Manila e Pechino, e hanno contribuito a rendere Duterte più amichevole nei confronti di Washington durante gli ultimi anni di presidenza. Tra i paesi dell’Associazione delle Nazioni del Sud-est asiatico (ASEAN) che rivendicano le acque e le isole di questo bacino marittimo, le Filippine e il Vietnam sono i più esposti al confronto con la Cina.

Ad aprile Manila e Washington hanno condotto l’esercitazione militare più massiccia degli ultimi sette anni. Il Balikatan, in tagalog “spalla a spalla”, ha mobilitato circa 9 mila membri tra personale militare filippino e americano nell’area di Luzon. Oltre agli Stati Uniti, un altro partner strategico è l’India, paese rivale di Pechino, con cui le Filippine hanno tenuto esercitazioni navali nel Mar Cinese Meridionale nel 2021.

Per attenuare le tensioni tra ASEAN e Pechino, il 2022 dovrebbe vedere la firma dell’atteso Codice di condotta per il Mar Cinese Meridionale. Il documento ha lo scopo di ridurre le probabilità di conflitto tra le parti, creando una linea guida per il comportamento degli stati nelle acque contese. Tra le conseguenze, avrebbe anche il facilitare l’esclusione dei paesi terzi dal dibattito, principalmente Stati Uniti e India.

L’impegno di Washington nell’Indo-Pacifico, intensificatosi negli ultimi mesi, getta dubbi sul rispetto della scadenza del 2022. La presenza delle Filippine (e di altri paesi ASEAN) all’interno dell’Indo-Pacific Economic Framework (IPEF) riduce la probabilità che il codice di condotta venga reso giuridicamente vincolante, e contribuisce a rendere la politica estera di Marcos ulteriormente ambivalente. 

Oceania e ASEAN più vicine di quanto si pensi

Australia e Nuova Zelanda non anelano partecipare al confronto tra potenze in Asia-Pacifico. E hanno obiettivi simili ai Paesi del Sud-Est

“È sbagliato parlare di Occidente contro la Russia. Siamo una democrazia liberale e cerchiamo di promuovere, ovviamente, i valori che sono importanti per noi ma cerchiamo anche di garantire che le nostre risposte in politica estera si basino su fatti, non su asserzioni e supposizioni”. A parlare, durante un intervento da Sydney, è Jacinda Ardern. Di più: “Non diamo per scontato che la Cina, in quanto membro del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non abbia un ruolo da svolgere nell’esercitare pressioni sulla Russia” sull’invasione, ha aggiunto la premier della Nuova Zelanda. Una visione più sottile della diplomazia rispetto allo “scontro ideologico” tra democrazie e regimi autoritari di cui parlano spesso gli Stati Uniti, soprattutto dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Nonostante la charme offensive di Washington in Asia-Pacifico e nonostante l’indiscussa inclusione nell’elenco delle democrazie liberali, i Paesi dell’Oceania dimostrano di avere un approccio pragmatico, anche l’Australia, che negli ultimi anni ha visto i suoi rapporti con la Cina toccare il minimo storico, non sembra intenzionata a promuovere contrapposizioni. A margine del summit dei Ministri degli Esteri del G20 è andato in scena un bilaterale molto significativo tra il cinese Wang Yi e l’australiana Peggy Wong. “Abbiamo parlato con franchezza e ascoltato attentamente le rispettive priorità e preoccupazioni. Abbiamo le nostre differenze, ma è nell’interesse di entrambi che le relazioni si stabilizzino”, ha detto la Ministra del nuovo governo australiano guidato dal laburista Anthony Albanese. Come ha scritto The Straits Times, per decenni l’Australia è stata vista come un avamposto anglosassone e come il “vice sceriffo” dell’America nel Pacifico. Canberra sembra però intenzionata ad avere un crescente impegno con il Sud-Est asiatico per stringere i legami con una regione che vuole evitare che la competizione tra potenze si trasformi in un vero e proprio confronto. E pare volerlo fare senza fermarsi a scontrarsi con Pechino per esercitare influenza sulle isole del Pacifico, ma cooperando in maniera concreta con l’ASEAN e i governi dell’area. Un maggiore coinvolgimento in Asia da parte del governo Albanese può evidenziare, ancora una volta, la posizione unica dell’Australia e in generale dell’Oceania tra Oriente e Occidente.

Thailandia: le opportunità per l’energia verde made in Italy

Bangkok apre alla cooperazione energetica con Roma. La seconda economia del Sud-Est asiatico punta a liberarsi dalla dipendenza dalle fonti fossili e aumentare le rinnovabili: qual è lo scenario che si apre alle imprese italiane?

La Thailandia ha fame di energia. Ma non può continuare sulla strada dei combustibili fossili. Negli ultimi trent’anni Bangkok è stato uno dei principali motori dello sviluppo asiatico, trasformando il blocco ASEAN in una delle regioni più promettenti per l’economia di domani. Oggi la seconda economia del Sud-est asiatico ha bisogno di sostenere la propria crescita su basi solide, che dovranno partire da politiche energetiche lungimiranti e coerenti con gli obiettivi di riduzione dei gas serra previsti dall’Accordo di Parigi.

Una nazione in crescita

Con un PIL pro capite in crescita (21,05$) e una popolazione di circa 66 milioni di abitanti, la Thailandia si è velocemente trasformata in un’economia a reddito medio-alto nel corso degli anni Novanta. Oggi il modello di crescita trainato dalle esportazioni è minacciato da un calo degli investimenti privati (16,9% del PIL nel 2019 contro il 40% del 1997) e dall’emergenza climatica che mette a rischio gli ecosistemi thailandesi. La dipendenza dalle fonti fossili rappresenta un ulteriore problema che il paese deve affrontare per mettere in sicurezza il settore energetico e creare delle opportunità sul territorio.

Oggi il mix energetico thailandese è composto principalmente da petrolio (40%), gas naturale (31,2%) e carbone (12,5%). Nel corso del 2021 le importazioni di queste risorse hanno toccato il 75% del totale impiegato, mentre la crisi Ucraina sta esacerbando i prezzi sui combustibili. Le rinnovabili sono pressoché limitate alle centrali idroelettriche, ma crescono i programmi governativi per alzare la percentuale di fonti pulite. Il Piano di sviluppo per l’energia alternativa del 2018 promette di raggiungere una copertura del 30% del mix energetico entro il 2030 attraverso la costruzione di nuove centrali. Al centro della transizione energetica ci saranno soprattutto eolico e fotovoltaico, senza escludere il potenziale delle biomasse e delle centrali idroelettriche su piccola scala. Tra le strategie elencate, il ministero dell’Energia thailandese prevede di aumentare l’accesso alle materie prime necessarie per l’implementazione di una smart grid da fonti verdi e lo sviluppo di tecnologie e know-how essenziali alla costruzione di impianti efficienti, puliti e sicuri.

Le opportunità per l’Italia

La Thailandia prevede di raggiungere la neutralità carbonica entro il 2065. Bangkok è consapevole delle sfide imposte dalla transizione energetica, e sta aprendo alle collaborazioni con attori esterni per riuscire a sviluppare un settore energetico resiliente. La Thailandia partecipa a programmi ASEAN come la Southeast Asian Energy Transition Partnership (ETP) e l’ASEAN Centre for Energy (ACE). Il paese è ora aperto a nuove opportunità di investimento e cooperazione nel quadro della partnership strategica con l’Unione Europea che dedica ampio spazio al tema dello sviluppo sostenibile e delle tecnologie verdi. 

In questo contesto c’è spazio anche per le realtà italiane interessate a sviluppare nuovi progetti con i partner thailandesi. Come hanno evidenziato gli interventi dell’ultimo Dialogo di alto livello Italia-ASEAN organizzato da The European House-Ambrosetti, il settore energetico rappresenta un terreno fertile per far nascere nuove collaborazioni e contribuire alla transizione energetica della Thailandia. Negli ultimi anni il dialogo bilaterale tra Roma e Bangkok si è intensificato attraverso un’agenda condivisa di reciproca cooperazione economica e condivisione di opportunità nel quadro delle sfide climatiche e dello sviluppo sostenibile. Entrambe le parti ambiscono, come ha sottolineato l’Ambasciatore Lorenzo Galanti, alla ripresa dei negoziati per facilitare il trasferimento tecnologico e lo scambio di conoscenze e competenze nel settore energetico. 

Lo scorso 10 giugno si è inoltre tenuto il secondo incontro del partenariato di sviluppo Italia-ASEAN con lo scopo di definire le aree di cooperazione pratica dal 2022 al 2026. Tra queste è emerso il tema delle energie pulite, con Roma che promette di sostenere lo sviluppo energetico dei paesi ASEAN fornendo know-how e tecnologie sicure a basso impatto ambientale.
Oggi lo scambio commerciale tra Italia e Thailandia è tornato a crescere dopo la pausa della pandemia. Le esportazioni italiane nel primo semestre del 2020 sono cresciute del 18%, mentre le importazioni dalla Thailandia hanno raggiunto il +26% rispetto all’anno precedente. I nuovi piani per lo sviluppo della cooperazione tecnologica offrono, quindi, un’ulteriore prospettiva di crescita nei rapporti tra i due Paesi.

La corsa digitale dell’Indonesia

Dall’inizio della pandemia fino alla prima metà del 2021, in Indonesia si sono aggiunti 21 milioni di nuovi consumatori digitali. Da qui il boom di startup e unicorni

Di Chiara Suprani

L’Indonesia, assieme a Vietnam e Singapore, è considerata una punta del triangolo d’oro delle startup nel Sud-Est asiatico. È la culla di 13 startup unicorno, tra cui è presente anche un decacorno, startup da 10 miliardi, creatosi quando la super-app Gojek si è fusa con il gigante dell’e-commerce Tokopedia. La piattaforma multiservizi di Gojek è diventata unicorno più velocemente rispetto a Bukalapak o Tokopedia, e ora opera in cinque Paesi ASEAN. L’Indonesia, il Paese più popoloso e con l’economia più grande della regione, sembra avere un’attrattiva particolare e un terreno fertile per la crescita del digitale e del tech. Dall’inizio della pandemia fino alla prima metà del 2021, in Indonesia si sono aggiunti 21 milioni di nuovi consumatori digitali, la maggior parte di questi appartenenti all’entroterra. Difatti, prima della prima ondata di Covid-19 solo il 4 per cento della popolazione indonesiana aveva accesso a linee internet stabili. Ora anche le regioni periferiche, grazie anche alla spinta proveniente da Giacarta, sono più coperte e il Paese conta 350 milioni di utenti digitali. L’anno scorso il valore lordo delle merci dell’economia digitale del Paese si è attestato sui 70 miliardi di dollari americani, mentre il valore totale della regione è stato di 170 miliardi. L’interesse indonesiano per la crescita del settore digitale e tech è dato da riforme che ben si inseriscono nel contesto nazionale. Lo dimostra per esempio la corsa di Bukalapak, una compagnia tech supportata da Microsoft e Ant Group, che è stata spinta dall’inserimento di 3.5 milioni di warungs, bancarelle a conduzione familiari, tra il suo parco ancora non sfruttato di imprese da inserire online. Ma il Paese vede una possibilità di ampliare il suo mercato nazionale aprendo agli stranieri: i lavoratori nomadi digitali internazionali potranno infatti lavorare nel Paese senza versare tasse. Il visto di cinque anni concesso dal governo di Joko Widodo punta ad attirare nell’arcipelago 3.6 milioni di stranieri dotati permessi per lavoro digitale.  

Indonesia e ASEAN sul palcoscenico mondiale

Il viaggio tra Kiev e Mosca del Presidente indonesiano Widodo lancia l’area del Sud-Est asiatico al centro delle dinamiche globali

Editoriale a cura di Alessio Piazza

Prima Kiev, poi Mosca. Prima il colloquio con Volodymyr Zelensky, poi quello con Vladimir Putin. La scorsa settimana si è svolta la visita tra Ucraina e Russia del Presidente indonesiano Joko Widodo. Una missione diplomatica che ha messo Giacarta al centro delle dinamiche internazionali e dunque l’intera area ASEAN di cui l’Indonesia rappresenta la principale economia. Widodo ha affermato che il Presidente russo gli ha fornito “garanzie” sulla sicurezza del trasporto di cibo e fertilizzanti attraverso le rotte marittime “non solo dalla Russia ma anche dall’Ucraina”, secondo il comunicato ufficiale del Cremlino. Il Presidente indonesiano ha anche detto di aver consegnato a Putin un messaggio del Presidente ucraino Zelensky e di essere “pronto a contribuire a stabilire un contatto tra i due leader” per garantire un passo verso “una soluzione di pace e un dialogo aperto”. Nessuna delle due parti ha approfondito il contenuto del messaggio e le reali prospettive negoziali appaiono ancora poco chiare. Ma ciò che è certo è che il viaggio già di per sé rappresenta una svolta importante nella politica estera non solo dell’Indonesia ma di tutto il Sud-Est asiatico. Widodo è infatti diventato il primo leader asiatico a recarsi a Kiev dall’inizio della guerra. Certo, a spingere questo importante sviluppo è stato soprattutto il fatto che l’Indonesia abbia la presidenza di turno del G20. Secondo alcuni osservatori della politica indonesiana, il viaggio potrebbe anche rappresentare un tentativo di Widodo di cementare la sua eredità personale. Anche o soprattutto in vista del G20 di Bali, che potrebbe passare alla storia come il mattone finale della politica estera del decennio di Widodo. Più nell’immediato, il tema più sensibile è quello della crisi alimentare. L’inflazione sta colpendo anche in Indonesia e le garanzie ricevute dal Presidente indonesiano durante la sua visita potrebbero calmare un’opinione pubblica preoccupata. Ma la portata simbolica e politica del viaggio resta. Proprio in riferimento al G20, Giacarta sta subendo da mesi pressioni contrapposte sul summit di Bali. Da una parte per invitare Putin, dall’altra per escluderlo. Widodo ha reso chiaro che in Indonesia e in generale nella regione vigono ancora (come recentemente ricordato dal Vicepresidente dell’Associazione Italia-ASEAN, Michelangelo Pipan)  i principi di neutralità e pacifismo, pilastri dell’ASEAN way. 

Sud-Est, il tesoro della biodiversità

I mari e le foreste della regione, se protetti in maniera pianificata e seguendo logiche scientifiche calate nella realtà ecosistemica locale, potrebbero diventare un motore della crescita economica regionale

Articolo di Chiara Suprani

A dicembre dell’anno scorso le Filippine e la Malesia sono state travolte da cataclismi naturali che hanno provocato ingenti fatalità e serie conseguenze sul territorio e la biodiversità dei due Paesi. Non solo Filippine e Malesia, ma l’intero Sud-Est asiatico è una delle zone più colpite dal cambiamento climatico al mondo. Eppure, il ruolo della regione è oltremodo cruciale nel progresso degli obiettivi di transizione energetica globale e il suo potenziale economico nel settore della protezione ambientale è stato valutato solo di recente. 

L’Accademia delle Scienze della Malesia ha pubblicato il 15 giugno uno studio commissionato dal gruppo Campaign for Nature, intitolato “The Nexus Of Biodiversity Conservation And Sustainable Socioeconomic Development In Southeast Asia”, che riconosce il valore, in termini sia ambientali sia economici, di investimenti in conservazione e protezione della biodiversità dell’estremità sudorientale del continente asiatico. Per di più, l’Accademia evidenzia il sostanziale contributo che la competenza nella salvaguardia degli ecosistemi dei Paesi ASEAN potrebbe dare ad altri, se fosse elevata a modello di sviluppo socio-economico. Difatti, sebbene il Sud-Est asiatico ricopra solamente il 4 per cento delle terre emerse globali, secondo l’Indice di Conservazione della Biodiversità (Biodiversity Intactness Index- BII) la regione, da sola, ospita l’80 per cento della diversità biologica mondiale. Ciò che fa spiccare il caso del Sud-Est asiatico quale ragionevole modello a cui ispirarsi è dato dal fatto che è la regione meglio capace al mondo di preservare la biodiversità che la caratterizza. Quindi se correttamente finanziato, il Sud-Est asiatico potrebbe essere la culla del nesso a lungo cercato tra crescita sostenibile e conservazione di fauna e flora locali. 

I mari e le foreste della regione, se protetti in maniera pianificata e seguendo logiche scientifiche calate nella realtà ecosistemica locale, potrebbero diventare un motore di crescita economica regionale, la quale non sarebbe più basata sullo sfruttamento ma bensì sull’arricchimento delle risorse naturali, facendo così della regione un modello di crescita economica basata sulla protezione ambientale. 

Lo studio malesiano ha colto l’importanza della protezione ambientale quale fattore economico attivo nella crescita di un Paese grazie ad un report del World Wide Fund for Nature (WWF) del 2018, che ha riconosciuto alla conservazione degli ecosistemi mondiali il valore di 125 trilioni di dollari americani. Di questi, considerato che il 57 per cento di aree marine e foreste protette globali mondiali è nel Sud-Est asiatico, 2,9 trilioni di dollari americani potrebbero finire ai Paesi ASEAN, il cui prodotto interno lordo (PIL) nel 2018 era di 3 trilioni di dollari americani. Quindi il potenziale economico della protezione e conservazione della biodiversità è, nelle premesse, molto allettante, soprattutto per dei Paesi in via di sviluppo. Ma per poter raccogliere questi benefici, i governi della regione devono essere disposti ad investire, a partire da oggi, 10 miliardi di dollari americani all’anno, che potrebbero diventare 46 miliardi annuali nel 2030. Inoltre, i finanziamenti devono essere destinati a progetti come il ripristino delle mangrovie, l’inverdimento delle città, la generazione di crediti di carbonio, l’educazione delle persone e la digitalizzazione. 

Un membro del comitato direttivo di Campaign for Nature, il professor Emil Salim, ha affermato che inquadrare la biodiversità come un’impresa generatrice di entrate è la chiave per coinvolgere le agenzie internazionali e locali nella conservazione. Per esempio il Rimba Raya Biodiversity Reserve Project in Indonesia è il più grande progetto per la riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale (REDD+), che punta a preservare torbiere tropicali ad alta densità di carbonio e ha interrotto la deforestazione di 65 mila ettari che sarebbero stati adibiti alle coltivazioni di olio di palma. Grazie a questo progetto, finanziato anche dalla canadese Carbon Streaming, parte delle entrate derivanti dalla vendita dei crediti-carbonio è stata reimmessa nelle comunità locali e nelle infrastrutture. Questo è stato il primo progetto REDD+ ad aver contribuito a tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite e l’interruzione della deforestazione di Rimba Raya ha permesso anche la salvaguardia di 105 mila orangotanghi, specie a rischio di estinzione. 

Tra gli ambienti ecosistemici, le foreste sono tra i più ricchi di biodiversità, e il loro valore non si misura solo nella loro ampiezza, ma anche nella loro rigogliosità e benessere. Trovare il giusto bilanciamento tra agricoltura, arboricoltura e foreste protette è chiave, ma la tutela del loro benessere ecosistemico è imperativo per la loro sopravvivenza, specialmente quando le conseguenze del cambiamento climatico colpiscono le piantagioni tanto quanto gli ecosistemi protetti. Oxford Economics, una società di previsione globale, ha evidenziato che in una prospettiva di lungo termine, Thailandia e Filippine sono sopra la media rispetto all’aumento delle temperature e nella frequenza e volume delle piogge torrenziali. La società ha notato che le ondate di caldo in Thailandia nel dicembre 2014 e in Vietnam nel febbraio 2019 hanno contribuito a far salire i prezzi dei generi alimentari tra il 5 e il 6% durante quei mesi. Quindi concentrare gli sforzi e gli investimenti per migliorare la resilienza climatica degli ecosistemi, ridurrebbe la vulnerabilità di questi a condizioni meteorologiche estreme e permetterebbe ai governi di avere più controllo sulle conseguenze economiche di questi eventi sul Paese. 

High Level Dialogue Italia-ASEAN

 “Gli interessi di Italia, ASEAN e Unione Europea coincidono”, sottolinea il Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN, Romano Prodi

Si è svolta mercoledì 6 luglio a Kuala Lumpur, in Malesia, la sesta edizione dell’evento organizzato da The European House Ambrosetti con l’Associazione Italia-ASEAN e il patrocinio di Maeci e Confindustria. L’High-Level Dialogue on ASEAN-Italy Economic Relations è l’evento di riferimento nella regione ASEAN per il rafforzamento dei legami economici e strategici tra i Paesi ASEAN e l’Italia. Durante l’appuntamento ibrido fisico-digitale, sono stati affrontati i temi più all’avanguardia: prospettive macroeconomiche dell’ASEAN nello scenario post-pandemico, tecnologie verdi per un futuro sostenibile, e-economy, tecnologie intelligenti e catene di valore 4.0, aerospaziale e sicurezza per la resilienza, opportunità di investimento e strumenti di cooperazione tra Italia e Paesi ASEAN. L’evento è stato aperto virtualmente dal Ministro degli Esteri Luigi Di Maio: “Rafforzare le relazioni con l’ASEAN è una priorità per l’Italia”, ha dichiarato. “Già più di 700 imprese italiane stanno facendo affari nel mercato ASEAN, terzo in Asia e quinto al mondo, ma c’è ancora un enorme potenziale inespresso sia in comparti tradizionali come quello dell’agroalimentare che nei settori innovativi delle rinnovabili e della transizione digitale”, ha detto invece il Sottosegretario Manlio Di Stefano. All’evento hanno preso parte, tra gli altri, il Ministro dell’Economia della Malesia Dato Sri Mustapa Mohamed, il Ministro presso l’Ufficio del Primo Ministro della Cambogia Sok Chenda Sophea,  il Vice Segretario generale dell’ASEAN Satvinder Sing. Sono intervenuti anche Romano Prodi (Presidente dell’Associazione Italia-ASEAN), Ramesh Subramaniam (Direttore Generale per il Sud-Est asiatico della Asian Development Bank), Carlo Ferro (Presidente dell’Italian Trade Agency), Valerio De Molli (Managing Partner & CEO, The European House – Ambrosetti), Lorenzo Tavazzi (Responsabile per lo Sviluppo Internazionale di The European House – Ambrosetti) e i due Vicepresidenti di Associazione Italia-ASEAN, Michelangelo Pipan e Romeo Orlandi. “Gli interessi di Italia, ASEAN e Unione Europea coincidono: un ordine mondiale caratterizzato dalla cooperazione e non dal confronto”, ha dichiarato il Presidente Prodi. “Un mondo che promuova il commercio, faciliti l’approvvigionamento e prometta lo sviluppo globale, con l’obiettivo di tenere sotto controllo i rischi legati all’ambiente”.

Leggi subito il comunicato stampa

L’ASEAN e l’Indo-Pacific Economic Framework

Osservando la sua fase iniziale e i vari impegni lungimiranti, sarà fondamentale vedere come i paesi membri si adattano agli obiettivi chiave di questa partnership

Articolo di Aishwarya Nautiyal

    La strategia Indo Pacifica non ha solo portato a una nuova sinergia tra i partner QUAD, ma ha dato nascita anche all nuovo Indo Pacific Economic Framework lanciato di recente dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden consentendo a 12 nazioni come membri partecipanti di aprire anche le porte a tutte le nuove nazioni disposte a partecipare in futuro. Alcune tra le maggiori potenze economiche come Stati Uniti, Australia, India, Corea del Sud e Giappone e diversi Paesi membri dell’ASEAN come Malesia, Filippine, Singapore, Brunei, Indonesia, Thailandia e Vietnam sono stati in prima linea in questo framework recentemente lanciato. È fondamentale comprendere che l’economia collettiva dei Paesi membri rappresenta quasi il 40% del PIL mondiale. Ciò apre le porte a un’opportunità per i Paesi della regione del Pacifico e dell’Oceano Indiano che sono anche coinvolti in vari partenariati economici e di sicurezza verso uno sforzo collettivo per “crescere più velocemente e in modo più equo”. Sebbene sia interessante notare che non si tratta di un patto commerciale ufficiale, il commercio è diventato un “pilastro” in tutto questo quadro insieme ad altri elementi chiave.

      Sebbene siano nella fase iniziale, molti negoziati ed emendamenti possono essere successivamente discussi tra i Paesi membri. Gli scenari chiave si sono concentrati su alcuni temi come la catena di approvvigionamento, le infrastrutture, l’energia verde, la decarbonizzazione, la tassazione e la lotta alla corruzione e il flusso del commercio libero ed equo. Quindi questo può essere visto come un contrappeso alla RCEP. I Paesi dell’ASEAN che non sono stati inclusi sono Myanmar, Laos e Cambogia. Mentre la Cina ha sollevato le sue critiche per un ulteriore rischio di disaccoppiamento economico, è stata esclusa da questa partnership. È interessante notare che Paesi come gli Stati Uniti e l’India che non hanno partecipato alla RCEP sono stati in prima linea in questo nuovo framework. La visione dell’India caratterizzata dalla sua “Look East Policy” ha portato i membri dell’ASEAN al centro della politica estera, quindi questa nuova iniziativa porta la cooperazione tra l’India e l’ASEAN con una visione per rafforzare un quadro multilaterale con altre principali economie nella regione dell’Oceano Pacifico. 

        Guardando alla geoeconomia e alla geopolitica future, il pilastro fondamentale risiede verso un’economia resiliente ed equa, che è stata anche il punto culminante della dichiarazione del presidente Biden durante il vertice dell’Asia orientale. La nuova piattaforma può anche essere vista come una possibile sostituzione del partenariato globale e progressivo transpacifico (CPTPP). È interessante notare che il lancio dell’IPEF sia arrivato appena un giorno prima del vertice QUAD a Tokyo, il Giappone ha portato due piattaforme in cui la base economica insieme ai partner QUAD ha avviato un nuovo impegno guidato dagli americani per riprogettare la partnership a vari livelli tra partner regionali e globali che si estendono dal Mar Cinese Orientale al Sud Mar Cinese e oltre fino al Golfo del Bengala e al Mar Arabico. Il Golfo del Bengala è un punto fondamentale del rapporto tra l’India e le nazioni dell’ASEAN. Il cruciale stretto di Malacca è una chiave per vari beni e scambi di energia. Oltre alla partnership India-ASEAN, l’IPEF offre la possibilità di espandersi oltre la cooperazione regionale a quella globale.

     Si punta a un’integrazione economica attraverso la creazione di nuove innovazioni tecnologiche creando anche una catena di approvvigionamento industriale in cui l’India sta cercando attivamente di diventare un nuovo punto focale con la futura partecipazione di varie nazioni dell’ASEAN a numerosi investimenti industriali e tecnologici come i semiconduttori. Considerando che l’India ha lavorato intensamente per migliorare la connettività economica aumentando gli investimenti in vari progetti infrastrutturali che collegano le nazioni dell’ASEAN con la parte nord-orientale dell’India. D’altra parte, è molto forte la volontà degli Stati Uniti di estendere la cooperazione per rafforzare l’economia e il commercio basati sul digitale, inclusi acquisti, vendite, flusso di dati consentendo la catena del valore globale e servizi intelligenti attraverso diverse piattaforme e applicazioni. L’idea chiave è garantire i costi a valle per le imprese e migliorare la capacità di elaborazione di dati e analisi, assicurando una piattaforma sicura per la continuità aziendale mentre l’accesso a materie prime chiave come semiconduttori, minerali e tecnologia energetica che rafforza i pilastri dell’IPEF è la resilienza della catena di approvvigionamento.

       D’altra parte, la decarbonizzazione e la costruzione di nuove infrastrutture per superare i problemi del riscaldamento globale e dell’aumento dei livelli di inquinamento fornendo finanziamenti e tecnologia per condividere l’assistenza tecnica e mobilitare finanziamenti agevolati adottando infrastrutture durevoli per l’energia rinnovabile. Il focus sul lato fiscale e sull’anticorruzione ha lo scopo di promuovere una concorrenza libera e leale superando le questioni della tassazione, del riciclaggio di denaro e della corruzione attraverso standard e accordi multilaterali adottati dai membri dell’IPEF.  Osservando la sua fase iniziale e i vari impegni lungimiranti, sarà fondamentale vedere come le nazioni membri si adattano agli obiettivi chiave di questa partnership e il livello di fiducia che costruisce con vari impegni nel prossimo futuro garantendo obblighi geografici ed economici regionali e globali creando nuove opportunità e strade per le future nazioni disposte a far parte della cooperazione economica globale dell’IPEF.

Il Vietnam motore commerciale e green

Il Paese del Sud-Est asiatico accelera sempre di più la sua crescita. Non solo a livello economico, ma anche per il suo status globale

Hanoi è sempre più al centro delle mappe commerciali regionali e globali. Già da diverso tempo gli effetti distorsivi della cosiddetta guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina hanno portato molte aziende internazionali a localizzarsi nei Paesi del Sud-Est asiatico. In particolare il Vietnam, che attrae non solo i produttori che potrebbero formare la nuova “fabbrica del mondo” ma anche i colossi digitali globali, conquistati da una classe media in costante crescita e da una popolazione giovane. La pandemia di Covid-19 prima e la guerra in Ucraina poi, con tutte le conseguenze geopolitiche del caso, stanno accelerando questa tendenza. Lo si vede anche nei numeri. A marzo, le esportazioni vietnamite sono cresciute del 45,5% su base mensile e del 14,8% su base annua, raggiungendo la cifra record di 34,06 miliardi di dollari. Secondo l’Ufficio generale di statistica del Vietnam, nel primo trimestre del 2022 l’economia vietnamita ha registrato un’espansione del 5,03% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, superando la Cina che è cresciuta del 4,8%. Inoltre, il commercio estero vietnamita è salito a 176,35 miliardi di dollari nel primo trimestre, con un aumento del 14,4% su base annua. In confronto, il commercio estero cinese nel 1° trimestre è aumentato del 10,7% in termini di yuan. L’incertezza legata alle restrizioni pandemiche sta peraltro spingendo diverse aziende ed expat a riconsiderare la loro permanenza nella Repubblica Popolare, volgendo spesso la loro attenzione proprio al Vietnam. L’interscambio commerciale di Hanoi con Stati Uniti e Unione Europea è considerevolmente aumentato negli ultimi anni, grazie anche all’accordo di libero scambio sottoscritto con Bruxelles. Le varie piattaforme lanciate negli ultimi mesi e settimane potrebbero portare altri vantaggi all’economia vietnamita. L’Indonesia e il Vietnam potrebbero essere i Paesi ASEAN a beneficiare maggiormente dei nuovi finanziamenti per la transizione verso l’energia pulita, nell’ambito di un partenariato globale per gli investimenti infrastrutturali formalmente lanciato dal G7 nel summit di qualche giorno fa. Il G7 si sta impegnando in particolare con Giacarta e Hanoi per la creazione di partenariati che forniscano finanziamenti per accelerare la decarbonizzazione e il passaggio a fonti energetiche più pulite. 

Grab e la gig-economy alla prova dell’inflazione

L’aumento dei prezzi del carburante è il primo vero shock che gli unicorni asiatici devono affrontare. Un circolo vizioso che sfida la resilienza della gig-economy made in ASEAN

Anche nei paesi ASEAN l’inflazione non perdona. Soprattutto se il tuo modello di business ha sempre puntato sullo hype degli investitori e la convenienza per i consumatori. È quanto sta accadendo al gigante del ride-hailing Grab, ex unicorno oggi situato a Singapore e salita agli onori dell’indice Nasdaq. La mannaia sui prezzi del carburante, in particolare, sta mettendo a dura prova le entrate dell’azienda in tutta la regione. Il core business di Grab, infatti, sono il food delivery e i servizi taxi, entrambi dipendenti dall’uso di automobili e scooter.

Secondo il CEO e co-fondatore dell’azienda Anthony Tan “l’offerta di mobilità di Grab si stabilizzerà nella seconda metà dell’anno”. La soluzione? Incentivi per i lavoratori e la speranza che il mercato si riprenda. Un messaggio che prende tempo con gli investitori, ma che non rassicura i clienti: “”È stato così difficile trovare un’auto ultimamente, si arriva fino a mezz’ora di attesa”, lamenta un utente premium a Rest of World. Se in Occidente stiamo assistendo a un aumento dei lavoratori nella gig economy, perlopiù dipendenti che cercano di sbarcare il lunario con qualche entrata extra, in Asia – dove questo mercato è ancora acerbo, anche se in crescita – la professione diventa invece meno appetibile. Il fenomeno, infatti, si era invece rivelato un’alternativa valida ad altri impieghi tradizionali e molto redditizia. Ma i recenti shock hanno cambiato le carte in tavola.

L’inflazione colpisce i paesi ASEAN

Oggi un fattorino nelle Filippine spende il 67% in più per il carburante rispetto a febbraio, mentre le entrate sono minacciate dal generale rigonfiamento dei prezzi. In Malaysia si stima che i prezzi dei viaggi durante le ore di punta siano aumentati fino al 400%. Anche chi si affida ai servizi di delivery oggi trova tutto più costoso. Non solo sono aumentati i prezzi per le materie prime – a questo si aggiungono i cataclismi che stanno facendo alzare, per esempio, il prezzo del caffè filippino – ma anche le commissioni iniziano a diventare troppo onerose per le piccole realtà imprenditoriali

Dal punto di vista dei clienti, senza i vantaggi economici di prima anche il servizio taxi perde di appetibilità. Come rivela uno studio sulle tendenze del ride-hailing nel Sudest asiatico, l’utilizzo ai mezzi con conducente è spesso una valida alternativa per i pendolari per studio o lavoro. Una tendenza piuttosto comune a Manila, dove le app di ride-hailing permettono di evitare il caos (anche in termini di disservizi) della metro. In Indonesia sono i mezzi pubblici sovraffollati e radi che spingono gli utenti alle app per prenotare un taxi. Curioso, infine, che le ricerche nell’area abbiano rilevato come, in mancanza di questi servizi, molti clienti tornerebbero semplicemente…a muoversi a piedi. Secondo gli studi per la mobilità sostenibile esiste un limite, stimato tra i 2 e i 5 km, che non giustificherebbe l’utilizzo dell’auto come mezzo principale di trasporto: un possibile punto a sfavore del traffico in quelle città asiatiche dove è sempre più urgente imporre delle limitazioni alle emissioni climalteranti. E, dunque, un’altra sfida nell’orizzonte della mobilità modello Uber.

Non che i governi ASEAN siano mai stati aperti all’ingresso di Grab sui loro mercati. La concorrenza impari contro i taxi e i contratti con poche (o nulle) garanzie per i lavoratori sono solo alcuni dei fattori che impediscono un rapporto sereno tra queste aziende e le autorità regolatorie. Il sistema si è dimostrato fragile ai momenti di crisi e non è ancora chiaro se le strategie adottate riusciranno a tamponare il deficit fiscale.

Il circolo vizioso della gig economy

Meno entrate, più costi. Meno lavoratori, più disservizi. Grab non è in realtà l’unica compagnia a trovarsi incastrata nella trappola degli unicorni tech. Anche l’indonesiana Go-Jek deve fare i conti con prezzi alle stelle, pur resistendo grazie al forte supporto di Jakarta e dei clienti che vedono nella compagnia un baluardo di progresso made in Indonesia. FoodPanda è a sua volta vittima della corsa al ribasso tentata per penetrare nell’impero di Grab, tanto che oggi la strategia di espansione in Asia si è fatta più cauta mentre l’azienda cerca nuovi porti altrove (per esempio nell’Est Europa).

Il modello di espansione di Grab nel Sudest asiatico è stato spesso definito come “aggressivo”. La startup è riuscita a penetrare nei mercati della regione grazie ai prezzi competitivi, alla flessibilità delle condizioni lavorative e qualche lacuna normativa. In più, non è mai mancato il sostegno degli investitori, che hanno permesso all’azienda di passare da unicorno a leader del ride-hailing in meno di dieci anni. Tra il 2013 e il 2014, Grab è entrata nelle Filippine, in Thailandia, in Vietnam e Indonesia, battendo la multinazionale Uber nel giro di pochi mesi.  Nel 2021 la società è stata quotata in borsa per un valore di oltre 40 miliardi di dollari e le azioni sono subito aumentate del 21%. Ma non è tutto oro quel che luccica: l’azienda afferma che non prevede di fare profitti entro il 2023 e l’attuale crisi dei consumi potrebbe allontanare ulteriormente questo orizzonte.
Le ambizioni di Grab, e le sue promesse, rimangono alte: vorrebbe estendere a tutti i paesi dove opera anche i servizi più avanzati, come le assicurazioni e i pagamenti digitali (attualmente riservati solo ad alcune località). E spera di superare questo inverno inflazionistico con dei sussidi che trattengano i lavoratori e non facciano crollare la qualità del servizio. Soprattutto, le tariffe devono rimanere estremamente competitive – come suggeriscono gli studi sulle preferenze dei consumatori asiatici. Una serie di sfide, quelle del 2022, che mettono alla prova un intero (nuovo) modo di fare business e la cui sopravvivenza potrebbe determinare la riscrittura delle regole del fare impresa.

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