La Malesia in cerca di stabilità politica

Una legge anti – party hopping per le prossime elezioni potrebbe essere la soluzione ?  

Articolo a cura di Aniello Iannone

Il 23 febbraio 2020, durante il governo guidato dalla coalizione Pekatan Harapan (PH), esponenti del partito Pribumi Bersatu Malaysia (Bersatu), partito principale della coalizione PH, si incontrano con esponenti del partito Pertubuhan Kebangsaan Melayu Bersatu (PEKEMBAR),  all’Hotel Sheraton, in Kuala Lumpur.

Quell’evento, noto mediaticamente come Sheraton Move, sarà  la causa del collasso della coalizione PH con l’uscita dalla coalizione di Bersatu ed una frazione del partito Keadilan Rayat (PKR). Questo darà l’inizio alla crisi di Governo in Malesia con le dimissioni di Mahathir  il 24 febbraio 2020.

Gli eventi che hanno preceduto lo Sheraton Move  sono legati alla vittoria della coalizione Pakatan Harapan (PH) durante le  G-14 (14th General Election), quando  la coalizione Barisan Nasional (BN) è stata battuta dopo 60 anni al comando.

La coalizione PH, guidata dall’ex primo ministro  Mahathir Mohammed, riuscì  durante la G14 ad acquistare consensi approfittando di una debolezza interna alla coalizione avversaria.

Questa debolezza era una conseguenza legata allo  scandalo fiscale che aveva coinvolto  Najib Razak, all’interno della coalizione Barisan Nasional e all’interno del partito  Pertubuhan Kebangsaan Melayu Bersatu (PEKEMBAR), meglio noto con l’acronimo inglese UMNO. 

Poco dopo meno di 22 mesi di governo da parte di PH, le differenze ideologiche tra i vari partiti all’interno della coalizione, insieme ad una leadership debole alla sua guida, hanno comportato il suo  sgretolamento . La promessa, non mantenuta,  da parte di Mahathir di cedere il posto ad Anwar Ibrahim ha fatto nascere una crisi all’interno di PH che ha causato di conseguenza l’uscita dalla coalizione di un intero partito, BERSATU,  più una frazione del partito Keadilan Rayat (PKR). Da questi eventi noti come Sheraton Move, inizierà poi una crisi di governo in Malesia. 

Questa crisi ha comportato le dimissioni di Mahathir, e l’inizio di un alternarsi di governi. In primis si è avuto il governo di Muhyiddin Yassin seguito dalla formazione del governo di  Ismail Sabri Yaakob, esponente del partito UMNO/PEKEMBAR e della coalizione Barisan National nell’agosto del 2021, attualmente in carica. 

Perché una legge anti-party hopping ? 

Il problema della crisi governativa aprì un dibattito in parlamento per una proposta  di  legge anti-party hopping. La legge imporrebbe ad eventuali membri del Parlamento  che cambiano partito durante una legislazione in atto,  di non  poter continuare il loro ruolo  da parlamentare. Questo perché un parlamentare  che cambia partito non mantiene fedeltá alla parte della popolazione che lo ha votato. La legge scongiurerebbe inoltre la possibilità, da parte di partiti più grandi, di attirare esponenti di partiti minori.

La pratica di abbandonare (hopping) un  partito per un altro da parte dei parlamentari  non è pratica nuova nella politica malese. La crisi politica nel Sabah  nel 1994 nacque quando esponenti del partito Bersatu Sabah (SPB), uscito vincente alle elezioni statali contro BN, lasciarono il partito per unirsi al partito avversario.

Dopo gli eventi  dello Sheraton Move, il PH e l’attuale governo hanno concordato un memorandum of understanding (MoU) dove si afferma che il piano per una proposta di legge anti party hopping  dovrebbe  essere attuata non oltre la prima seduta della quinta sessione del Parlamento. Ad oggi il piano di legge è stato rinviato per ulteriori approfondimenti. 

Analizzando la situazione politica e costituzionale della Malesia  una legge anti-hopping dovrebbe rivedere vari articoli della costituzione malese, in particolar modo l’art 10. La  Mahkamah Persekutuan Malaysia (Tribunale Federale)   nel  1992 dichiarò illegittima una legge anti-hopping poiché andava contro l’art 10 della costituzione che definisce la libertà di associazione. 

Per far fronte a questo conflitto normativo, il governo ha chiesto una riforma dell’Art 10. Qualora dovesse passare questa riforma introdurrà una clausola (A) al comma 3 dell’art 10, cioè l’introduzione di limitazioni per i membri del Parlamento che cambiano partito durante un periodo di governo attivo e l’introduzione di una seconda clausola dove si afferma che l’atto di hopping è dannoso per l’ordine pubblico (Loh 2020) 

Incertezze: si va verso la direzione giusta ?

Gli eventi accaduti durante lo Sheraton Move potrebbero non giustificare la proposta di legge avanzata dal governo. Questo perché  la proposta di legge prevede che in caso in cui un membro del Parlamento  abbandoni il suo partito per un altro automaticamente perderebbe il loro ruolo da parlamentare. Ma quello che ha portato agli eventi dello Sheraton Move deriva da problemi diversi. In quel contesto  un intero partito, BERSATU, abbandono la coalizione PH. Anche nel caso ci fosse stata una legge anti-hopping non avrebbe comunque cambiato gli eventi dello Sheraton. 

Attualmente la legge è in stato di rielaborazione. Come ha notato il gruppo avvocati per la libertà (Lawyer for liberty o LFL) una legge anti-hopping potrebbe diventare una lama a doppio taglio nel contesto malese, con pericolose ripercussioni per la democrazia del Paese.  

Questo perché secondo LFL, la proposta di legge manca di una definizione  concreta. Secondo LFL infatti questa legge non si preoccupa di risolvere il problema del party-hopping, ma, in maniera contraddittoria, concede potere decisionale al partito di poter espellere eventuali membri, limitando  l’indipendenza dei rappresentanti eletti.

Questo posizionerebbe il parlamentare sempre al di sotto delle decisioni prese  dal  partito per paura di eventuali ripercussioni 

La critica alla legge arriva anche dal Parlamento. La parlamentare Nurul Izzah Anwar, esponente di PH, ha dichiarato che, se questa legge dovesse essere approvata, i parlamentari vedrebbero limitata la loro libertà e discrezionalità  durante il lavoro in parlamento.

 

Riferimenti 

Chocko D., P. (2020) “ Policy Briefs: party-hopping of Lawmakers in Malaysia: a menu of remedies.  Jeffrey Sachs Center on Sustainable Development, Sunway University 

Loh J. (2020) “Outlawing party hopping for good” EMIR Research 

Aumentano le opportunità di business in Cambogia

Phnom Penh sta acquisendo un ruolo centrale all’interno delle catene di approvvigionamento. E apre sempre più agli investimenti internazionali

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Il 2022 sta portando la Cambogia sempre più sul palcoscenico globale. Sia a livello politico, con la presidenza di turno dell’ASEAN fino al prossimo 31 dicembre, sia dal punto di vista economico. Nei primi cinque mesi dell’anno in Cambogia sono state aperti nuovi stabilimenti industriali a un ritmo molto più alto rispetto all’anno precedente. Le nuove fabbriche hanno già generato posti di lavoro per circa 57 mila cambogiani. Si tratta di un chiaro segnale di fiducia degli investitori. A favore di Phnom Penh ha giocato una gestione efficace della pandemia di Covid-19, che è valsa tra l’altro anche l’encomio dell’EU-ASEAN Business Council. Ma un ruolo importante lo stanno avendo le misure messe in atto dal governo locale per incentivare il business internazionale. Con la nuova legge sugli investimenti promulgata il 15 ottobre 2021, gli investitori stranieri ricevono gli stessi diritti degli investitori nazionali, ad eccezione della proprietà del terreno. Inoltre, gli investimenti sono aperti in tutti i settori e  non ci sono restrizioni sul rimpatrio di capitali. Il momento è positivo anche per l’interscambio commerciale. Tra gennaio e aprile, la Cambogia ha esportato beni per un valore di 7.6 miliardi di dollari. Si tratta soprattutto di prodotti di abbigliamento, macchinari, attrezzature elettroniche ma anche prodotti manifatturieri come biciclette, ricambi auto, mobili, cuoio e plastica. La partnership Italia-Cambogia è un importante strumento per aumentare le capacità istituzionali dell’ASEAN e  ha un grande potenziale economico sia in termini di commercio che investimenti. Il commercio tra i due Paesi si è ripreso nel 2021 raggiungendo 416 milioni di euro, facendo segnare un +12 per cento rispetto all’anno precedente. In un recente webinar organizzato dall’Italian Cambodian Business Association in Cambogia (ICBA), con il supporto della Camera di Commercio Europea in Cambogia (Eurocham) e dell’Associazione Italia-ASEAN, è intervenuto il Professor Romeo Orlandi. Il Vicepresidente dell’Associazione Italia-ASEAN ha affermato come il percorso di apertura verso il libero commercio rappresenti uno strumento fondamentale per la crescita della Cambogia e di altri Paesi del Sud-Est asiatico. Secondo Orlandi è importante sostenere lo sviluppo di valori condivisi per approfondire la cooperazione bilaterale. Anche perché Phnom Penh sta acquisendo un ruolo più centrale nelle catene di approvvigionamento. 

I nuovi “valori asiatici” e i diritti LGBTQIA+

Nell’area dei Paesi ASEAN sono state registrate alcune battute d’arresto ma anche numerosi passi avanti sul tema del riconoscimento giuridico e politico della comunità LGBTQIA+

Nel mese di giugno, le celebrazioni, le commemorazioni e le iniziative del Pride Month fioriscono in tutto il mondo. Molti paesi del Sud-Est asiatico hanno fatto passi avanti in materia di diritti civili per la comunità LGBTQIA+, mentre altri sono ancora reticenti ad accoglierne le rivendicazioni politiche e le istanze di riconoscimento identitario. Condizionamenti culturali e religiosi e leggi non accomodanti si intersecano con l’amara esperienza della colonizzazione occidentale, fornendo argomentazioni politiche ai detrattori dei movimenti sociali che lottano per la libera espressione dell’identità di genere e degli orientamenti sessuali. Ma recuperare i “valori asiatici”, secondo alcuni analisti, può portare a un’accelerazione delle aperture sui diritti civili.

Anche attraverso l’operato delle grandi organizzazioni internazionali, come le Nazioni Unite, i diritti LGBTQIA+ sono stati riconosciuti come diritti umani nel quadro del diritto internazionale. Nel 2007 sono stati adottati i Principi di Yogyakarta, un compendio di linee guida rivolto agli Stati della comunità internazionale sulla prevenzione delle discriminazioni basate sull’orientamento sessuale e sull’identità di genere, per “un futuro diverso, in cui tutte le persone nate libere ed eguali in dignità e diritti” possano godere del diritto arendtiano di avere diritti. Ma a mano a mano che ci si avventura in contesti nazionali e locali sembra che le raccomandazioni dell’alta politica si facciano sempre più opache. Il Sud-Est asiatico è una delle regioni in cui questa contraddizione si esprime con più vigore. 

Nell’area dei Paesi ASEAN sono stati registrati numerosi passi avanti sul tema del riconoscimento giuridico e politico della comunità LGBTQIA+, ma anche diverse battute d’arresto. Nel Brunei e in Indonesia i rapporti tra persone dello stesso sesso sono vietati e nel Sultanato possono implicare anche la pena di morte. In Indonesia si registra uno dei livelli più alti di intolleranza dei confronti delle coppie omosessuali nel Sud-Est asiatico: secondo un sondaggio del Pew Research Center del 2019, l’80% degli intervistati era contrario all’accettazione dell’omosessualità nella società. Di recente, un programma giornalistico in onda su Youtube è stato al centro di uno scandalo per aver invitato una coppia gay in trasmissione: il talk show “Close The Door” di Deddy Corbuzier è spesso oggetto di polemiche per la presenza di figure pubbliche che intervengono su questioni sensibili, e stavolta ha fatto infuriare molti esponenti della grande comunità musulmana indonesiana. Il presidente del Consiglio indonesiano degli Ulema Cholil Nafis era molto contrariato quando ha affermato che “l’Islam proibisce le persone LGBT. È come una parte malata del corpo che deve essere amputata, non celebrata”. 

Anche Singapore non si annovera tra i Paesi più progressisti in tema di diritti LGBTQIA+. Nella città-stato asiatica è in vigore una legge che criminalizza ancora il sesso tra uomini, anche se “non viene applicata rigorosamente”. La Thailandia, spesso definita come un “paradiso LGBTQIA+” per via della relativa libertà con cui le persone possono esprimere genere e orientamento sessuale, potrebbe presto legalizzare l’unione matrimoniale tra coppie dello stesso sesso. Kittinun Daramadhaj, presidente dell’Associazione Rainbow Sky della Thailandia, ha affermato che l’uguaglianza di genere in Thailandia è “una finta uguaglianza, perché siamo contenti delle persone LGBT, ma non abbiamo alcun meccanismo legale per proteggere i loro diritti”. Solo di recente, dopo una sentenza della Corte costituzionale che ha stabilito che le leggi thailandesi dovrebbero essere ampliate per garantire maggiori diritti alla comunità LGBTQIA+, in Thailandia sembra muoversi qualcosa. Secondo alcuni osservatori il Paese si trova sulla buona strada per divenire il primo nel Sud-Est asiatico a legalizzare le unioni omosessuali, con un disegno di legge ora in fase di approvazione al Parlamento. La proposta non riguarda il matrimonio vero e proprio, ma consentirebbe alle coppie gay di adottare bambini e gestire il proprio patrimonio in comune.

Un altro esempio virtuoso del riconoscimento sociale delle persone LGBTQIA+ viene da un Paese insospettabile: le Filippine. Nonostante la storia di autoritarismo e la profonda pervasività della dottrina cattolica, l’arcipelago del Sud-Est asiatico ha un record di inclusività per le persone gender-fluid e queer. Questo primato deve molto anche all’eredità delle religioni tradizionali, che sopravvivendo all’avvento dell’imperialismo spagnolo e all’arrivo del Cattolicesimo, hanno continuato ad orientare le dinamiche relazionali della società. Il regista, produttore e scrittore Vonne Patiag, di origini filippine, si concentra molto nei suoi lavori sulle storie personali di identità marginalizzate. In un articolo apparso sul Guardian, riporta l’esempio dei bakla, spesso considerati un terzo genere nelle Filippine, definiti quasi “una celebrazione intersezionale delle culture asiatiche e queer”. Si tratta di un’identità di genere fondata su una pratica culturale performativa più che sulla sessualità, che trascende la dualità uomo-donna, in un rifiuto del binarismo ante-litteram. Secondo Vonne Patiag, “bakla è una parola tagalog che indica la pratica filippina del cross-dressing maschile, che indica un uomo che ha modi “femminili”, si veste come una donna “sexy” o si identifica come una donna”. I bakla, storicamente, rivestono anche ruoli di leadership importanti a livello sociale. Nonostante questo modello di fluidità di genere, e anche se l’omosessualità è legale nelle Filippine, il matrimonio per le coppie omosessuali non è ancora riconosciuto, e la legislazione per la conversione delle persone transessuali è ancora piuttosto ambigua. Secondo Brian Wong, dottorando in Teoria politica presso il Balliol College di Oxford e borsista Rhodes di Hong Kong, “è stato il contatto con l’Occidente a ridurre progressivamente la permissività dell’Asia nei confronti delle relazioni omosessuali”. Gli episodi di omofobia, secondo lo studioso, avrebbero una correlazione con l’esperienza coloniale, che comprometterebbe l’unicità del dibattito sull’identità di genere e sull’orientamento sessuale in Asia orientale. Per questo, Wong invita la comunità del Sud-Est asiatico a recuperare quei “valori asiatici”, che qualche detrattore vorrebbe confondere con paradigmi di pensiero conservatori, ai quali invece bisognerebbe attingere per portare lo stato dei diritti delle comunità LGBTQIA+ nel Sud-Est asiatico ancora avanti.

“Noi aiutiamo la Croce Rossa Thailandese, la Croce Rossa Thailandese aiuta noi”

 Uno sguardo al modo in cui la Famiglia Reale ha alimentato la missione umanitaria della Società della Croce Rossa Thailandese

Articolo a cura di Tej Bunnag

Segretario generale della Società della Croce Rossa Thailandese

“#BeHumanKind: Credere nel potere della gentilezza” è stato il tema di quest’anno, quando abbiamo celebrato la Giornata della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa l’8 maggio 2022.  Riflettendo sulla gentilezza, vogliamo anche ricordare come la Thailandia sia diventata membro del Movimento internazionale della Croce Rossa.

                   Sin dalla sua fondazione nel 1893, la Società della Croce Rossa Thailandese ha perseguito una missione umanitaria per fornire assistenza medica e sociale a chi ne ha bisogno. La Società è nata in seguito al conflitto tra Siam e Francia sulla riva sinistra del fiume Mekong, che ha provocato numerosi feriti e vittime. All’epoca non esisteva alcuna organizzazione in grado di fornire assistenza e soccorso alle vittime. Thanphuying Plian Phasakaravongse, una dama di corte, esortò le donne thailandesi a raccogliere fondi e oggetti, come medicinali e attrezzature mediche, da inviare per aiutare i soldati feriti. Lady Plian pensava che ci sarebbe dovuta essere un’organizzazione che si occupasse di loro e dei civili colpiti, come faceva la Croce Rossa, e propose l’idea alla regina Savang Vadhana, che la sottopose a Sua Maestà il Re Chulalongkorn. Il Re approvò e lodò gli sforzi di soccorso come “una buona iniziativa adatta come modello nazionale”. Il 26 aprile 1893 concesse il permesso di istituire il “Consiglio Rosso del Siam”, il predecessore della Società della Croce Rossa Thailandese. Sua Maestà donò anche fondi personali di 80.000 baht per contribuire a lanciare la prima raccolta di fondi per il “Consiglio Rosso del Siam”, insieme a una dichiarazione ufficiale in cui dichiarava che “la mia vita e le mie proprietà sono unite al Siam”. A questa dichiarazione seguì il permesso reale di utilizzare un palazzo per la costruzione di un ospedale del Consiglio della Croce Rossa nel giugno 1893.

                  Una volta terminato il conflitto tra Siam e Francia, Sua Maestà il Re Chulalongkorn chiese a uno dei suoi figli, il Principe Nakornchaisri Suradech, di sviluppare e istituzionalizzare il Consiglio della Croce Rossa del Siam e dell’ospedale come organizzazione permanente per portare avanti la sua missione umanitaria. Sua Maestà purtroppo morì prima che il progetto fosse completato. Il suo erede, il re Vajiravudh, insieme ai suoi fratelli, portò a termine il progetto facendo donazioni al fondo del Consiglio della Croce Rossa esistente per costruire un ospedale nella proprietà privata del re sulla Rama IV Road. Il principe Nakornchaisri Suradech supervisionò la costruzione dell’ospedale. Il King Chulalongkorn Memorial Hospital, Thai Red Cross Society, come è conosciuto oggi, continua a essere uno dei migliori ospedali del Paese, con strutture mediche all’avanguardia al servizio del pubblico.

Ufficio della Società della Croce Rossa del Siam (1914-1932)
Fonte: Sito web della Società della Croce Rossa Thailandese

               Quando si chiede cosa viene in mente quando si sente parlare della Società della Croce Rossa Thailandese oggi, la maggior parte delle persone pensa che si tratti di un’organizzazione umanitaria caritatevole. Partendo dall’assistenza medica ai soldati e ai civili feriti in tempo di guerra, la Società della Croce Rossa Thailandese si è poi allargata a molte altre missioni, soprattutto da quando Sua Maestà la Regina Sirikit, la Regina Madre, ha assunto la presidenza della Società nel 1956.

               Sua Maestà la Regina Sirikit è devota alla missione umanitaria della Società della Croce Rossa Thailandese. Nel maggio 1979, quando decine di migliaia di rifugiati cambogiani si rifugiarono nella provincia thailandese di Trat, si precipitò a Trat per vedere la situazione in prima persona. Poi, in qualità di Presidente della Società della Croce Rossa Thailandese e contro la politica del governo dell’epoca, istituì il Centro della Croce Rossa Thailandese di Khao Lan per fornire riparo, cibo e cure mediche ai rifugiati, che divenne il loro rifugio per molti anni, fino al ritorno della pace in Cambogia nel 1991.

Centro della Croce Rossa Thailandese di Khao Lan sull’autostrada Trat-Khlong Yai al Km. 48, in precedenza struttura per l’assistenza ai rifugiati cambogiani dal 1978 al 1986.
Fonte: Sito web del viaggio in Thailandia

                   Oltre all’assistenza umanitaria per i rifugiati e gli sfollati, la Società della Croce Rossa Thailandese fornisce anche altri servizi per rafforzare l’assistenza sanitaria pubblica in Thailandia. Il governo ha assegnato alla Società la responsabilità del Centro nazionale del sangue. I funzionari e i volontari della Croce Rossa thailandese si occupano anche di portare aiuti alle vittime dei disastri naturali, ogni volta che questi si verificano.

                  Durante la pandemia da COVID-19, la Società della Croce Rossa Thailandese ha svolto un ruolo attivo nella campagna di vaccinazione nazionale. Nell’aderire alla campagna nazionale di vaccinazione, la Società ha costantemente incoraggiato tutti a vaccinarsi prima possibile, sia i cittadini thailandesi che gli stranieri, compresi i lavoratori migranti e altri gruppi di persone vulnerabili in Thailandia, in linea con la politica del governo di “non lasciare indietro nessuno”. A partire da maggio 2022, la Società della Croce Rossa Thailandese ha somministrato gratuitamente 1.816.316 dosi di vaccino contro il COVID-19, che coprono i lavoratori migranti e gli sfollati al confine occidentale del Paese, sottolineando la lunga tradizione umanitaria della Thailandia.

La Società della Croce Rossa Tailandese e i suoi partner di rete forniscono la vaccinazione contro il COVID-19 proattiva per gli sfollati presso il rifugio temporaneo di Ban Mae La, nel sottodistretto di Mae La, distretto di Tha Song Yang, provincia di Tak
Fonte: Sito web della Società della Croce Rossa Thailandese

Oltre alla campagna di vaccinazione, i funzionari e i volontari della Croce Rossa thailandese aprono cucine comunitarie in varie parti del Paese. L’obiettivo è quello di alleviare i disagi della popolazione a causa della pandemia, allestendo cucine temporanee in aree pubbliche in varie province, in uno sforzo continuo per distribuire aiuti al maggior numero possibile di persone.

                  “…La missione della Società della Croce Rossa Thailandese non è solo quella di assistere le persone della società che dovrebbero ricevere assistenza, ma è legata all’assistenza alle persone che sono in difficoltà in generale, in cui il lavoro è veramente intrapreso per l’umanitarismo. Consideriamo un dovere per tutti gli esseri umani aiutare i propri simili e coloro che lavorano alla Società della Croce Rossa Thailandese comprendono molto bene questa missione…”.

                   Parole pronunciate da Sua Altezza Reale la Principessa Maha Chakri Sirindhorn, che dal 1977 ricopre il ruolo di Vicepresidente esecutivo della Società della Croce Rossa Thailandese e ha portato avanti l’eredità umanitaria della Società, in particolare il senso del dovere e della compassione verso il prossimo, integrando il servizio alla comunità nella vita quotidiana.

                 La Società della Croce Rossa Thailandese, sotto il Patrocinio Reale di Sua Maestà il Re, ha celebrato il suo 129° anniversario il 26 aprile 2022, e continua a espandere e rafforzare le sue operazioni umanitarie e a coltivare lo spirito di servizio alla comunità con la fede nel potere della gentilezza nella società thailandese.

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Tej Bunnag è il Segretario Generale della Società della Croce Rossa Thailandese ed ex Ministro degli Affari Esteri della Thailandia. Ex diplomatico di carriera, è stato Segretario permanente per gli Affari esteri e Ambasciatore della Thailandia a Pechino, Ginevra, Parigi e Washington D.C. È stato borsista del Governo e ha studiato storia all’Università di Cambridge e di Oxford nel Regno Unito.

 

Il rapporto Italia-ASEAN a una svolta

Editoriale a cura di Benedetto Latteri

Ambasciatore d’Italia in Indonesia, Timor-Est e ASEAN
* Pubblicato originariamente su The Jakarta Post

La recente visita del Vice Ministro degli Affari Esteri italiano Manlio Di Stefano a Giacarta e la sua partecipazione al secondo incontro del Comitato di partenariato per lo sviluppo ASEAN-Italia rappresenta un progresso fondamentale verso il consolidamento delle relazioni tra l’Italia e l’ASEAN. Le ragioni che hanno portato il mio Paese alla decisione di richiedere lo status di partenariato per lo sviluppo sono evidenti a chiunque abbia familiarità con le dinamiche internazionali: l’ASEAN è un partner chiave in una regione strategica, l’Indo-Pacifico, una regione che ospita le più grandi economie in più rapida crescita e una vasta quota del commercio globale che passa attraverso le sue acque. L’ASEAN è uno degli esempi di maggior successo di integrazione regionale, nonché un fornitore affidabile di stabilità e crescita economica. Il suo contributo alla difesa della libertà di navigazione, alla prevenzione dei conflitti e alla promozione del pluralismo e della tolleranza è stato senza precedenti. Allo stesso tempo, nell’Indo-Pacifico stanno emergendo sviluppi preoccupanti: crescenti tensioni sul commercio e sulle catene di approvvigionamento, nonché un’intensa concorrenza sul fronte politico e della sicurezza. Di conseguenza, le potenze regionali e globali, compresa l’Unione Europea ei suoi Stati membri, guardano all’Indo-Pacifico con crescente attenzione, cercando di rafforzare la cooperazione con l’ASEAN, che rappresenta un ottimo quadro per disinnescare le tensioni geopolitiche. Dal primo Comitato misto Italia-ASEAN nell’aprile dello scorso anno, abbiamo negoziato intensamente le aree di cooperazione congiunta. È stato un processo lungo e impegnativo, culminato ieri con l’adozione di un documento di 62 paragrafi, le Aree di cooperazione pratica (APC). Gli APC riaffermano il nostro impegno a lavorare insieme in un’ampia gamma di campi. Il documento definisce la direzione futura del partenariato di sviluppo delineando una strategia che richiede un impegno globale e quindi uno sforzo molto significativo da entrambe le parti. Giusto per dare un’idea della profondità e dell’entità della nostra futura cooperazione, i campi della cooperazione includono pace e sicurezza, cooperazione marittima, buon governo e diritti umani, commercio, investimenti e sviluppo del settore privato, energia, alimentazione, agricoltura e silvicoltura, turismo , scienza, tecnologia e innovazione, tecnologie dell’informazione e della comunicazione, integrazione digitale e commercio elettronico, scambi interpersonali, gestione delle catastrofi e assistenza umanitaria, salute, ambiente e cambiamenti climatici, cultura, connettività e sviluppo sostenibile. Già prima dell’approvazione degli APC, l’Italia e l’ASEAN avevano lanciato o discusso una serie di iniziative in materia di patrimonio culturale, criminalità informatica, protezione ambientale, pesca sostenibile e sviluppo costiero e cooperazione spaziale. Inoltre, il 5 e 6 luglio si svolgerà a Kuala Lumpur la sesta edizione del Dialogo ad alto livello sulle relazioni economiche tra l’Italia e l’ASEAN, la prima che si terrà in presenza dall’inizio della pandemia di COVID-19. L’evento riunisce ministri, CEO e alti funzionari dell’Italia, degli Stati membri dell’ASEAN e del Segretariato dell’ASEAN con l’obiettivo di rafforzare i legami economici tra i nostri paesi. Riteniamo che questa iniziativa contribuirà a svelare le opportunità che il mercato dell’ASEAN offre ai nostri investitori ea costruire partnership economiche “win-win” con il Sud-Est asiatico. Come tutti possono vedere, la collaborazione che Italia e Asean prevedono per il prossimo quinquennio non si limiti a pochi temi o settori. Per avere successo, l’Italia e l’ASEAN dovranno impegnarsi pienamente nella loro partnership. In questo contesto, desideriamo elogiare la presidenza cambogiana dell’ASEAN per la fruttuosa collaborazione che siamo stati in grado di instaurare nel 2022. E non vediamo l’ora di lavorare con la presidenza dell’Indonesia nel 2023 con la quale, ne sono certo, continueremo a portare avanti con successo i nostri obiettivi comuni di pace e sviluppo attraverso la cooperazione e il sostegno reciproci. La presenza del Viceministro degli Affari Esteri italiano a Giacarta, soprattutto in un momento di estrema crisi in Europa, lancia un messaggio molto chiaro: l’Italia è pienamente impegnata nella regione e conta sui suoi amici dell’ASEAN per il successo della nostra cooperazione negli anni a venire.

La corsa delle imprese giapponesi al Sud-Est asiatico

La pandemia ha acceso una nuova consapevolezza sull’importanza dell’igiene personale e degli ambienti.Le aziende giapponesi di settore, potendo contare su un sempre più ampio bacino di consumatori appartenenti alla fascia di reddito medio, stanno espandendo le proprie attività nella regione ASEAN

Se da un lato la pandemia ha frenato la crescita di innumerevoli settori, dall’altro la situazione emergenziale ha dato impulso alla repentina espansione di alcuni specifici segmenti di mercato, tra cui spicca quello dei prodotti per l’igiene personale e la cura della casa. È il caso di alcune aziende giapponesi che hanno rilanciato le proprie attività dopo una prima fase di stallo, facendo leva sulle nuove consapevolezze portate dalla pandemia tra la crescente classe media. Takafumi Ohno, che dirige le attività internazionali di Lion, ha reso noto di voler puntare sul grande potenziale del mercato della bellezza nel Sud-Est asiatico.

A settembre, l’azienda, già affermata nel settore dei prodotti per la casa, ha lanciato Azzura, il suo primo marchio di cosmetici. Il brand ha esordito in Indonesia, ma l’intenzione è di raggiungere nei prossimi anni anche altri Paesi, come la Malesia. Proponendo un prezzo che si colloca nella fascia media e rivolgendosi a un numero sempre crescente di giovane donne lavoratrici, Lion si dice fiduciosa a conquistare anche questo nuovo segmento di mercato, in cui la domanda cresce rapidamente a fronte di una poco intensa concorrenza di marche locali e estere. Alla fine dello scorso anno, sempre grazie a Lion, a Singapore è arrivato SunoHada, marchio giapponese di prodotti per la cura della pelle, mentre in Thailandia approdava la skincare targata Rawquest, prodotto dalla filiale sudcoreana.

Anche per Earth Corporation, società leader nel settore degli insetticidi per uso domestico, si intravedono buone possibilità di accelerare l’espansione del business nel Sud-Est asiatico. Sfruttando la maggiore attenzione al rischio di trasmissione di malattie infettive attraverso gli insetti dovuta alla recente esperienza pandemica, il momento sembra adatto per arricchire la propria offerta di prodotti e ultimare le operazioni di espansione in paesi come Malesia, Cambogia e Filippine. L’obiettivo è quello di aumentare i ricavi provenienti dalla vendita di repellenti nella regione del 15% entro la fine del 2023, partendo dalla cifra attuale a 16 miliardi di yen (130 milioni di dollari), come dichiarato dal presidente di Earth, Katsunori Kawabata.

I recenti progetti di espansione delle imprese giapponesi nella regione lasciano intravedere non solo un allargamento del bacino dei consumatori, ma anche la partecipazione in iniziative virtuose a vantaggio delle comunità locali. Uno dei progetti più significativi vede Kao, azienda chimica e cosmetica, impegnata nel lancio di una collaborazione con Wota, una startup affiliata all’Università di Tokyo che ambisce a fornire soluzioni per combattere la crisi idrica mondiale. I due partner hanno reso noto che “Kao e WOTA uniranno le forze in una partnership commerciale volta a risolvere i problemi globali relativi all’acqua e ai servizi igienici” attraverso una serie di iniziative, tra cui l’installazione di lavamani in luoghi privi di accesso all’acqua corrente. “Espandiamo la nostra attività in modo che le persone in questi luoghi possano usare acqua e sapone per una migliore igiene”, ha affermato Atsushi Koizumi, amministratore delegato e direttore del centro di promozione aziendale globale della Kao. 

Attualmente, le due imprese sono impegnate in un test pilota in Indonesia che prevede l’installazione di stand WOSH, dotati di serbatoi d’acqua propri e di una tecnologia che sarebbe in grado di filtrare, disinfettare e rendere nuovamente potabile l’acqua precedentemente usata per lavarsi le mani. La speranza è che lo sforzo in direzione della risoluzione di un problema sociale diffuso in alcune aree del Sud-Est asiatico come l’assenza di sistemi di approvvigionamento idrico possa avere un impatto positivo anche sulla domanda di saponi e detersivi e premiare sul piano delle vendite.

La pandemia ha modificato profondamente la sensibilità e le esigenze dei consumatori asiatici, riaccendendo simultaneamente le ambizioni di quegli operatori che desiderano proporre prodotti ad alto valore aggiunto per soddisfare le sempre più esigente richieste della crescente classe media. Anche se di recente la Cina ha superato il Giappone come “top partner” nell’opinione dei cittadini della regione del Sud-Est asiatico, nel tentativo di espandere il proprio business e mitigare le conseguenze del calo demografico nel mercato interno, tante imprese giapponesi scelgono di scommettere sulle emergenti economie dell’ASEAN. 

Reindirizzamento della cooperazione in materia di difesa tra India e ASEAN

La cooperazione non si limita solo all’impegno militare, ma è andata avanti con prospettive future nello spazio e nell’intelligence

Articolo di Aishwarya Nautiyal

Il forum regionale dell’ASEAN, che è un’importante piattaforma del dialogo sulla sicurezza dell’ASEAN per la consultazione e la cooperazione al più alto livello di impegno nella difesa, ha visto una partecipazione attiva dell’India dando priorità alle relazioni ASEAN-India, sottolineando l’importanza del forum come chiave per l’impegno regionale con una visione di reciproca sicurezza e crescita mantenendo l’equilibrio attraverso visite portuali ed esercitazioni militari. L’India Act East Policy ha portato nuove piattaforme come SIMBEX e SITMEX con Singapore e Thailandia attraverso esercitazioni militari assicurando la prontezza a mantenere la pace e la sicurezza regionali. Impegno marittimo sfruttando la posizione geografica strategica delle isole Andamane e Nicobare (India) e dei suoi vicini come Thailandia, Malesia, Indonesia, Myanmar, Singapore, che fornisce un focus chiave alla cooperazione di Malacca e promuove una linea sicura per i canali commerciali internazionali.

      L’India non vedeva l’ora di fornire varie piattaforme di difesa come i sistemi missilistici Brahmos alle Filippine, che sono costati quasi 375 milioni di dollari per la marina. D’altra parte, l’India e Singapore hanno mostrato una crescita significativa nella cooperazione bilaterale in materia di sicurezza impegnandosi in varie esercitazioni navali, inclusa una nuova cooperazione navale in cui l’India ha ottenuto l’accesso alla base navale di Changi per le sue navi con diritti di rifornimento e supporto logistico. L’accordo prevede anche una disposizione per il reciproco rifornimento e riarmo sulle basi militari dell’altro. Uno degli sviluppi significativi può essere visto con la cooperazione di difesa tra India e Vietnam, dove l’India ha ottenuto l’accesso alla base navale e aerea di Cham Ranh Bay fornendo anche addestramento e sistemi d’arma avanzati alle forze di difesa vietnamite. Finora 550 sottomarini vietnamiti hanno acquisito una formazione e una conoscenza approfondite presso la base di addestramento dei sottomarini di INS Satavahana insieme a 100 milioni di dollari di credito per acquistare attrezzature di difesa indiane. I piloti vietnamiti vengono regolarmente formati per le piattaforme Sukhoi, mentre l’impegno di imprese private può essere visto anche con Larsen e Toubro per equipaggiare le guardie di frontiera vietnamite con 12 navi offshore. Nel 2016 è stata fornita una nuova linea di credito di 500 milioni di dollari per l’acquisto di nuove piattaforme di difesa.

     La cooperazione non si limita solo all’impegno militare, ma è andata avanti con prospettive future nello spazio e nell’intelligence. La decisione dell’India di istituire un sistema di localizzazione e imaging satellitare intorno alla città di Ho Chi Minh con il finanziamento dell’ISRO di 23 milioni di dollari per il monitoraggio e lo scambio di dati con il Vietnam e la condivisione della futura sorveglianza e intelligence è collegata alle stazioni di Biak in Indonesia e Brunei. Guardando a una nuova convergenza geostrategica, diverse navi da guerra dal comando navale orientale dell’India sono state inviate con l’obiettivo di impegnarsi in esercitazioni bilaterali con Filippine, Singapore e Indonesia. Di recente, la Malesia tende a procurarsi caccia leggeri e ha ingaggiato il jet da combattimento indiano TEJAS per partecipare alla gara di appalto insieme ad altri concorrenti globali. Questa è la prima volta che un jet di origine indiana è stato coinvolto in una gara globale. Mekong-Ganga Cooperazione in cui India e Vietnam sono entrambi membri insieme ad altri membri dell’ASEAN come Thailandia, Myanmar, Cambogia, Laos. L’obiettivo chiave di questo impegno risiede nella cooperazione nello scambio di cultura e turismo insieme allo sviluppo dell’istruzione e dei trasporti.

      L’India e la Thailandia condividono il loro confine marittimo attraverso una rotta commerciale cruciale dello Stretto di Malacca. Ciò porta entrambi i paesi in un punto focale per garantire la sicurezza e la protezione della regione del Golfo del Bengala. Le relazioni tra due paesi sono vecchie di secoli con diversi punti in comune storici all’interno delle loro relazioni culturali. L’India ha fornito ingegneri regolari e delegazioni mediche in varie esercitazioni condotte tra due nazioni, tra cui Ex-Cobra Gold, una delle più grandi esercitazioni militari. La 31a edizione della pattuglia coordinata India-Thailandia (CORPAT) è stata uno di questi impegni in cui HTMS Krabi insieme a INS Saryu e Dornier Patrol Aircraft sono stati impegnati per 3 giorni vicino al Mare delle Andamane in posizione strategica. Il collegamento tra l’amicizia tra due forze armate e diverse questioni come la pesca non regolamentata, il traffico di droga, la pirateria, il terrorismo, il contrabbando e l’immigrazione illegale, comprese le operazioni di soccorso in mare, sono stati fondamentali per comprendere l’interoperabilità tra due marine in CORPAT.

      Con l’India che non vede l’ora di espandere la sua impronta geostrategica nel Sud-Est asiatico, il Brunei, ricco di energia, sembra occupare una posizione di rilievo nella politica dell’India Act East. Finora le relazioni non sono state a fuoco e non sono state in grado di realizzare il suo pieno potenziale, ma con una nuova visione l’India non vede l’ora di aumentare il livello di intensità e vitalità del collegamento con il Brunei come partner marittimo cruciale. Il porto ha guidato lo sviluppo in cui il porto di Maura può essere un nuovo punto focale dei responsabili politici indiani insieme all’accordo India-Brunei nel 2018 per rafforzare le relazioni di difesa, compreso lo scambio di informazioni, esercitazioni, formazione e sviluppo industriale della difesa. Trovandosi in un momento cruciale del cambiamento delle dinamiche globali dall’Europa al Medio Oriente, l’Asia meridionale sta diventando sempre più cruciale per bilanciare e trarre vantaggio attraverso varie piattaforme in cui la cooperazione nel campo della difesa e dell’intelligence ha il suo ruolo fondamentale garantendo la fiducia tra i partner regionali.

L’ASEAN è sempre più al centro

Editoriale di Lorenzo Lamperti

Dopo la pandemia e in seguito alla guerra in Ucraina, l’Asia e in particolare il Sud-Est asiatico stanno diventando sempre più cruciali per gli equilibri politici e commerciali globali

La tendenza era già chiara prima. Ma ora lo è probabilmente ancora di più. Il Sud-Est asiatico e l’ASEAN sono destinati a essere sempre più fondamentali per gli equilibri commerciali e politici globali. La regione è già un motore fondamentale della crescita globale ed è destinata a diventare la quarta economia mondiale entro il 2030, soprattutto grazie al suo crescente status di hub commerciale e dell’innovazione. Non solo. Da Sud-Est arriva una forte spinta a digitalizzazione e sviluppo sostenibile. Le due componenti non sono scollegate, visto che proprio il focus sulla tecnologia consente l’utilizzo di sistemi smart per rafforzare la transizione energetica. La necessità di tenere sotto controllo l’inflazione e di diversificare le catene di approvvigionamento sta focalizzando ancora di più l’attenzione sull’area ASEAN, che sta proponendo misure spesso efficaci per calmierare l’aumento dei prezzi ed è diventata un’alternativa fondamentale a livello produttivo. Paesi come Vietnam e Malesia sono ormai al centro delle mappe delle forniture globali. I flussi di investimenti esteri nella regione sono in costante aumento, con le società di venture capital che scommettono con sempre maggiore convinzione sulle startup locali. Secondo i dati della società di ricerca Preqin, i fondi di capitale di rischio incentrati sul Sud-Est asiatico e sull’India hanno raccolto finora 3,1 miliardi di dollari nel 2022, avvicinandosi già ai 3,5 miliardi di dollari raccolti in tutto lo scorso anno. In confronto, la raccolta di fondi da parte dei fondi di venture capital focalizzati sulla Cina è scesa bruscamente da 27,2 miliardi di dollari nel 2021 a soli 2,1 miliardi di dollari. Come ha notato in un editoriale il Jakarta Post, la popolazione della regione è giovane, esperta di tecnologia digitale e sempre più prospera. Per le aziende, ciò significa che l’ASEAN non solo rappresenta una base da cui diversificare l’offerta, ma offre anche una diversificazione della domanda e della forza lavoro. Entro il 2030, si prevede che i consumi saranno più che raddoppiati, raggiungendo i 4 mila miliardi di dollari, mentre 40 milioni di persone si aggiungeranno alla popolazione in età lavorativa. Inevitabile che il Sud-Est asiatico sia un’area in cui ora tutti vogliono essere presenti.

L’Asia cerca risposte al dilemma energetico

Gli effetti della guerra russo-ucraina sul mercato globale dei combustibili fossili investono anche i Paesi asiatici e spingono i governi a cambiare le loro strategie di lungo termine.

La guerra russo-ucraina ha provocato un grave aumento dei prezzi dell’energia, in Asia come nel resto del mondo. Nel breve periodo, tale aumento peserà maggiormente sulle fasce più deboli – colpite anche dall’aumento dei prezzi di molti prodotti alimentari, sempre causato dalla guerra. Sul lungo periodo invece, potrebbe rappresentare un’opportunità. Governi e aziende potrebbero decidere di ridurre la loro dipendenza dai combustibili fossili, i cui prezzi sono schizzati, e fare maggiore affidamento sulle fonti rinnovabili. Possiamo dunque consolarci guardando al bicchiere mezzo pieno? Non proprio. La capacità di trasformare la crisi energetica in opportunità cambia molto a seconda della zona del mondo e della lungimiranza che i decisori pubblici dimostreranno nel far fronte agli effetti immediati della crisi. Esaminare l’impatto che la guerra sta avendo sul mercato energetico dell’Asia oggi può essere utile per azzardare una previsione su quali saranno le conseguenze profonde domani. Economie avanzate e in via di sviluppo, governi molto attrezzati o meno, tensioni di sicurezza internazionale ed effetti tangibili della crisi climatica… Il continente presenta tutti gli elementi di rilievo per essere un eccellente caso di studio sugli effetti immediati e profondi del conflitto.

La guerra russo-ucraina avrà tre effetti immediati sulle economie asiatiche. Innanzitutto, i prezzi globali dell’energia rimarranno alti e volatili per tutto il 2022, portando a un aumento generalizzato dell’inflazione; secondo, gli sforzi per superare definitivamente la crisi Covid, i cui effetti economici sono ancora intensi in certi paesi del continente, dovranno essere rivisti e accresciuti; infine, i governi cambieranno le proprie strategie energetiche, probabilmente aumentando le quote di energia prodotte attraverso il carbone e il gas naturale liquefatto (LNG), così da ridurre l’utilizzo di petrolio e gas trasportato via gasdotto – i due combustibili fossili maggiormente colpiti dalla riduzione dell’export russo causato dalla guerra e dalle sanzioni.

Nell’ASEAN, ciascun Paese sta vivendo gli effetti della crisi in modo diverso. I paesi produttori di petrolio e gas naturale come Indonesia, Malesia e Vietnam potranno utilizzare i nuovi guadagni per finanziare misure a sostegno delle categorie colpite dall’inflazione. Ci sono poi differenze preesistenti per quanto riguarda il mix di fonti fossili consumate: alcuni paesi consumavano già relativamente poco petrolio ed energia (Indonesia, Malesia, Filippine), altri invece sono più esposti (Singapore, Thailandia). Un altro elemento da considerare è il peso dell’export sull’economia nazionale: alcuni Paesi devono infatti preoccuparsi dell’inflazione anche dei propri partner commerciali. I consumatori UE, particolarmente colpiti dagli effetti economici della guerra, potranno comprare meno prodotti asiatici. In particolare, appaiono in difficoltà Filippine e Vietnam. Manila deve affrontare un’impennata dell’inflazione, il peggioramento del deficit commerciale, la svalutazione del peso e un numero ancora elevato di casi di Covid. Hanoi invece risente da sempre di una certa vulnerabilità agli shock economici esterni e questi ultimi anni di crisi globale sembrano una tempesta perfetta per la sua economia export-oriented.

L’energia non è soltanto un fattore di produzione, ma anche un asset strategico. Il concetto di sicurezza energetica appare di frequente nei discorsi dei leader mondiali e la guerra russo-ucraina ha reso ancora più urgente la questione, oltre a complicare i rapporti tra gli Stati Uniti e le potenze asiatiche, Cina e India in primis. Le risorse naturali russe rappresentano una sorta di pomo della discordia tra i tre giganti. Mosca cerca di spezzare il suo isolamento dirottando i suoi combustibili fossili dall’Europa verso Nuova Delhi e Pechino. L’India importa l’80% del petrolio che consuma, di cui il 3% proviene dalla Russia, e sembra intenzionata ad aumentare tale percentuale nel breve periodo. Il governo di Modi sembra indifferente alle scelte di Mosca e alle pressioni USA e vuole continuare a collaborare con la Russia. Anche la Cina ha una linea ambigua con la Russia e non sembra voler mettere in discussione l’accordo stipulato prima dello scoppio della guerra per aumentare le forniture di gas. La Cina non pare avere comunque molta scelta: già da prima della guerra, Pechino voleva ridurre la sua dipendenza dal carbone e dal LNG, il cui mercato è dominato da Stati Uniti e Australia. La crisi energetica alza la posta anche della disputa sul Mar cinese meridionale: i suoi fondali sono ricchi giacimenti di risorse fossili e le sue acque sono attraversate da un gran numero di cargo carichi di LNG e petrolio.

La crisi energetica è però rilevante soprattutto sul piano climatico. Se le economie si affidassero maggiormente alle fonti rinnovabili, anziché a quelle fossili, sarebbero meno esposte all’aumento dei prezzi di queste ultime – prezzi che si sono dimostrati, ancora una volta, estremamente volatili. La guerra è stata un campanello d’allarme per i politici del pianeta e dovrebbe spingerli a un reset della loro politica ambientale a favore della sostenibilità: forse le energie rinnovabili non sono poi meno affidabili di quelle fossili. Ma potrebbero scegliere di andare anche nella direzione opposta. Sempre dall’India arrivano segnali preoccupanti. Il Paese era sulla via giusta per raggiungere i propri obiettivi di riduzione delle emissioni stabiliti ai sensi dell’Accordo di Parigi – l’unica tra le grandi economie del mondo a poter vantare questo merito –, ma ora sta dedicando molte risorse per acquistare petrolio direttamente dalla Russia e distribuirlo a prezzo calmierato in modo da attenuare gli effetti della crisi energetica. Anche aumentare il ricorso al LNG potrebbe rivelarsi non sostenibile sul lungo periodo, sia in termini economici che ambientali. Il suo prezzo è aumentato molto e la sua inclusione nelle fonti energetiche verdi genera controversie.

Sicurezza energetica o lotta al cambiamento climatico? Rimedi di breve o di lungo periodo? La guerra russo-ucraina ha sottoposto all’Asia un “dilemma energetico” di non facile soluzione. In ogni caso, la crisi colpirà duramente tutte le economie del pianeta e i leader politici dovranno trovare il modo di proteggere le fasce deboli, senza perdere la sempre più complessa sfida ambientale e navigando uno scenario internazionale turbolento.

Gli effetti della guerra in Ucraina sul Myanmar

Mentre Mosca è impegnata nel conflitto, Naypyidaw torna a contare poco nell’elenco delle priorità russe. E la Cina si prepara a riempire questo vuoto nonostante la diffidenza di entrambe le parti

“Né con la Russia, né con l’Ucraina” è uno slogan che suonerebbe poco piacevole alle orecchie della giunta militare al potere in Myanmar. Gli amici dell’esercito birmano, il Tatmadaw, si contano sulle dita di una mano. E tra questi proprio Mosca e Kiev erano i migliori partner sul mercato delle armi, unico mezzo per legittimare il proprio potere con la forza dopo il golpe del 1° febbraio 2021. Con la crisi ucraina il Myanmar ha alcuni inevitabili punti in comune, gli stessi di tutti i conflitti: povertà, distruzione e caos. Come denuncia l’inviato della Nazioni unite in Myanmar Andrew Kirkwood, il numero di birmani in condizioni di povertà assoluta ha raggiunto i tre milioni, mentre crollano i servizi pubblici di base, soprattutto nelle aree rurali. A fermarsi non è invece la violenza degli scontri, che continuano a provocare morti tra i civili. In questo contesto di profonda crisi economica e politica non è quindi più così certo che il Tatmadaw riesca a (ri)modellare il paese a sua immagine e somiglianza. Soprattutto non ha più le spalle coperte. Con la Russia distratta potrebbe dover cercare altrove un protettore, guardando verso la Cina. Una scelta che l’esercito birmano ha sempre cercato di ritardare per le storiche diffidenze nei confronti di Pechino, che intratteneva peraltro rapporti profondi col governo di Aung San Suu Kyi.

Da quando le forze armate hanno ripreso il potere è emersa subito la lotta impari tra cittadini pressoché disarmati e un Tatmadaw dotato tanto di mezzi militari quanto di strumenti per la sorveglianza e il tracciamento dei nuclei ribelli, i gruppi che si riconoscono nelle People’s defence forces (Pdf) o nei più strutturati eserciti etnici. Anche a loro, in qualche modo, la notizia di due attori in meno sul mercato aggiunge ulteriori difficoltà in un contesto di crescente scarsità. Le Pdf faticano a trovare il pieno appoggio armato del governo democratico in esilio (il National Unity Government of Myanmar, o Nug), e ancora più sfuggente è il sostegno dei paesi occidentali. Nelle ultime settimane, il dipartimento di Stato americano ha ufficialmente definito “genocidio” la repressione dei Rohingya ma sul piano concreto le pressioni occidentali sul governo golpista si sono affievolite anche a causa della “distrazione” ucraina. Lo stesso vale per gli eserciti delle realtà etniche, spesso in conflitto tra loro. Il conflitto russo-ucraino potrebbe erodere sia le reti commerciali tradizionali, che i traffici più opachi di materie prime e droghe – spesso alla base delle entrate degli eserciti informali. 

Nel frattempo, il golpe ha tagliato la maggior parte dei legami commerciali e diplomatici con l’Occidente, lasciando pochi spazi di manovra agli affari della giunta militare. La minaccia di una Russia sempre più concentrata su se stessa rischia di ridurre non solo il potenziale bellico del Tatmadaw, ma anche il commercio di farmaci e altri beni essenziali a favore – ancora una volta – di Pechino. Ad aggravare il quadro della situazione, il fatto che le potenze occidentali fatichino a trovare i canali giusti (e slegati dalla giunta) per fornire gli aiuti necessari. Sui 350 milioni di dollari richiesti dall’inviato Onu nel 2021, per esempio, ne è arrivato solo un terzo e ciò non rimuove il rischio di ripercussioni da parte dell’esercito. Le stesse risorse naturali che abbondano in Myanmar non sembrano rappresentare un incentivo abbastanza allettante da richiamare l’attenzione dei partner occidentali oltre le sanzioni emanate in passato e l’embargo alla vendita di armi.

Prima dell’invasione russa dell’Ucraina, il Myanmar sembrava naturalmente diretto verso la nascita di nuove istituzioni pseudo-democratiche. Il Tatmadaw, infatti, si sta attrezzando per togliersi la divisa e indossare gli abiti della politica. L’attuale State Administrative Council (Sac), l’istituzione governativa creata ad hoc dopo il golpe, parla di indire nuove elezioni entro l’agosto del 2023: una competizione plurale di facciata, necessaria a tentare di riguadagnare la fiducia di partner commerciali, investitori e donatori internazionali. Tra questi, la Cina sta giocando d’anticipo: il Nug è sparito dalle dichiarazioni ufficiali e le iniziative bilaterali ora coinvolgono il braccio diplomatico del Tatmadaw, l’ex colonnello Wunna Maung Lwin. 

Maung Lwin è stato invitato a marzo 2022 come parte di una delegazione Asean in visita a Pechino per parlare degli “effetti negativi della crisi ucraina nel Sud-Est asiatico”. Il 1° aprile il ministro degli Esteri cinese Wang Yi lo ha poi incontrato nello Anhui per confermare il “massimo sostegno” della Cina allo sviluppo del Myanmar “indipendentemente da come muterà la situazione geopolitica”. Queste dichiarazioni, insieme a progetti come la costruzione di nuove infrastrutture (per esempio, un nuovo gasdotto-oleodotto) e l’avvio di zone industriali lungo il confine, arrivano in un momento cruciale. Un momento in cui un “no” diventa sempre più impensabile, anche a fronte della storica diffidenza del Tatmadaw nei confronti della Repubblica popolare. Nel frattempo, l’eventualità di un Myanmar instabile ancora per molto tempo con l’allontanamento della Russia fa avvicinare Pechino anche ai gruppi etnici. Una strategia che tiene aperte tutte le possibilità, ma che il presidente del Nug (criticando Pechino per l’avvicinamento a un governo che definisce “illegittimo”) ha definito “pericolosa” perché passibile di “continuare, e non cessare, i conflitti interni”.

Le mosse del Sud-Est sull’inflazione

I governi dell’area ASEAN stanno adottando una serie di strategie mirate per proteggere i consumatori dall’aumento dei prezzi. Spesso con efficacia

La guerra in Ucraina sta avendo un inevitabile e forte impatto sulle economie di tutto il mondo. Gli effetti collaterali sulla catena alimentare, sui rifornimenti energetici e sull’inflazione sono evidenti a diverse latitudini. Compresi l’Europa e il Sud-Est asiatico. In questo caso, forse i governi europei potrebbero trarre qualche ispirazione dalle mosse dei governi asiatici, che stanno adottando un approccio più mirato rispetto alle loro controparti occidentali per contenere la pressione inflazionistica globale, una strategia che sembra funzionare, almeno per ora. Sebbene l’inflazione rimanga una seria sfida economica in Asia, infatti, in molti Paesi le misure adottate hanno contribuito a proteggere il pubblico da alcuni aumenti dei prezzi e hanno fatto sì che la maggior parte delle banche centrali della regione non abbia dovuto aumentare i tassi di interesse così rapidamente come è accaduto altrove. I vari sforzi hanno anche spostato parte degli oneri dei costi dai consumatori e dalle piccole imprese ai bilanci statali. L’Indonesia, un Paese con una storia di volatilità finanziaria e di oscillazioni dei prezzi, la scorsa settimana ha aumentato i sussidi energetici di 24 miliardi di dollari per contenere i costi dell’energia, dopo la revoca di un controverso divieto di esportazione dell’olio di palma. Sebbene l’impatto dell’aumento dei prezzi continui a farsi sentire in particolare sulle piccole e medie imprese, la domanda delle famiglie rimane forte e l’inflazione è all’interno della fascia del 2-4% fissata dalla banca centrale di Giacarta. I pesanti sussidi al carburante e ai trasporti operati dalla Malesia hanno probabilmente ridotto di circa 1,5 punti percentuali l’inflazione del Paese, che ad aprile era solo del 2,3%. In Thailandia, l’inflazione complessiva ha appena superato il target della banca centrale dell’1-3% e il capo della banca si è impegnato a continuare a sostenere la ripresa economica. L’onere di contenere i prezzi in Europa e negli Stati Uniti è stato sostenuto soprattutto dalla politica monetaria, con le banche centrali di Stati Uniti, Regno Unito e Canada ora impegnate in cicli aggressivi di rialzo dei tassi di interesse. Nel Sud-Est asiatico, invece, la maggior parte delle banche centrali ha iniziato solo di recente un passaggio molto cauto da tassi di interesse estremamente bassi, con un innalzamento che dovrebbe essere più graduale rispetto all’Occidente.

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