Chip, maxi espansione di Intel in Malesia

La Malesia è già una base vitale per il confezionamento, l’assemblaggio e il collaudo dei chip per Intel. Lo sarà ancora di più

Di Tommaso Magrini

Intel punta a quadruplicare la capacità dei suoi servizi più avanzati di confezionamento dei chip entro il 2025, prevedendo la costruzione di un nuovo impianto in Malesia. La fabbrica in costruzione a Penang sarà il primo impianto all’estero di Intel per il confezionamento avanzato di chip in 3D, quello che l’azienda chiama tecnologia Foveros. L’azienda sta inoltre costruendo un’altra fabbrica per l’assemblaggio e il collaudo dei chip a Kulim, nell’ambito di un’espansione di 7 miliardi di dollari nella nazione del Sud-Est asiatico. La Malesia diventerà così la più grande base di produzione di Intel per il confezionamento di chip 3D, ha dichiarato Robin Martin, vicepresidente aziendale per la catena di fornitura e le operazioni di produzione. L’azienda non ha specificato quando lo stabilimento di Pengang inizierà la produzione di massa. Intel utilizzerà questa tecnologia anche per la sua nuova unità di elaborazione centrale (CPU) per personal computer. In passato il confezionamento dei chip era considerato meno cruciale e meno impegnativo dal punto di vista tecnologico rispetto alla produzione dei chip stessi. È emerso come un’area chiave nella corsa alla produzione di chip sempre più potenti, dato che l’approccio convenzionale – comprimere più transistor in un’area più piccola – diventa sempre più difficile. Secondo Yole Intelligence, il mercato dei servizi avanzati di confezionamento dei chip valeva 44,3 miliardi di dollari nel 2022 e si prevede che crescerà a un tasso annuo composto del 10,6% a partire dal 2022 per raggiungere 78,6 miliardi di dollari entro il 2028. La Malesia è già una base vitale per il confezionamento, l’assemblaggio e il collaudo dei chip per Intel, che impiega 15.000 dipendenti nel Paese, di cui 6.000 nel suo centro di progettazione dei chip. Lo sviluppo conferma e fortifica le ambizioni di Kuala Lumpur di diventare un importante hub regionale per il Sud-Est asiatico per la produzione di semiconduttori.

ASEAN epicentro di stabilità e crescita

Pubblichiamo uno stralcio dei discorsi del Presidente indonesiano Joko Widodo durante il 43° summit ASEAN di Giacarta

Un proverbio indonesiano dice che un vicino è come un parente stretto, e un vicino stretto è più importante di un parente lontano. Sono dell’idea che il proverbio sia molto, molto pertinente per l’ASEAN, che 56 anni fa ha giurato la sua parentela con il nome della famiglia ASEAN. Come famiglia, a mio avviso, l’ASEAN rientra nella categoria delle famiglie armoniose, delle famiglie forti e delle famiglie di alto livello. L’ASEAN ha dimostrato di essere una regione pacifica, stabile e in crescita. Si stima che la crescita economica dell’ASEAN nel 2024 sarà la più alta al mondo, raggiungendo il 4,5% (anno su anno). L’ASEAN è anche la regione più attraente per gli investimenti diretti esteri (IDE). Entro il 2022, il 17% degli IDE sarà destinato all’ASEAN. Si tratta della percentuale più alta rispetto ad altre regioni in via di sviluppo. L’ASEAN gode anche di un bonus demografico, con la terza forza lavoro più grande al mondo e il 65% della sua popolazione ha il potenziale per diventare una classe media nel 2030. Dobbiamo plaudere a tutto ciò, perché tutto questo fa parte del capitale dell’ASEAN per raggiungere il suo obiettivo di diventare l’epicentro della crescita. Tuttavia, in una situazione globale turbolenta, l’ASEAN non dovrebbe procedere come al solito. L’ASEAN ha bisogno di una strategia straordinaria, una strategia tattica straordinaria. Abbiamo bisogno di una collaborazione più solida; non possiamo farcela da soli. Una forte cooperazione tra i Paesi, la comunità imprenditoriale e il pubblico della regione è importante per attuare la strategia tattica. Siamo tutti consapevoli della portata delle attuali sfide globali, la cui chiave principale per affrontarle è l’unità e la centralità dell’ASEAN. L’ASEAN deve essere in grado di lavorare di più, essere più unita, essere più coraggiosa e più agile. Oltre a ciò, l’ASEAN ha bisogno di un programma a lungo termine che sia pertinente e in linea con le aspettative della popolazione, non solo per i prossimi cinque anni, ma anche per i prossimi 20 anni, fino al 2045. L’ASEAN, in quanto parte della regione indo-pacifica, continua a lavorare sodo, sia utilizzando un approccio inclusivo attraverso la cooperazione del Segretariato dell’ASEAN con il Segretariato del Forum delle Isole del Pacifico (PIF) e dell’Associazione del Bacino dell’Oceano Indiano (IORA), sia un approccio economico e di sviluppo attraverso il Forum indo-pacifico dell’ASEAN (AIPF), in modo che l’ASEAN possa avere un impatto sui suoi cittadini e sul mondo. L’ASEAN, in quanto grande nave, ha anche una grande responsabilità nei confronti delle centinaia di milioni di persone che vi navigano insieme. E, anche se dobbiamo navigare nel bel mezzo di una tempesta, noi leader dell’ASEAN dobbiamo assicurarci che questa nave sia in grado di continuare a muoversi e a navigare. E dobbiamo essere i capitani delle nostre navi per concretizzare la pace, la stabilità e la prosperità condivisa.

Il nuovo enorme canale che connette Cina e ASEAN

Lanciato lo scorso anno, il progetto evidenzia lo spostamento dell’attenzione di Pechino verso il miglioramento della connettività marittima. 

Il canale Pinglu si estenderà per oltre 134 chilometri dal bacino idrico di Xijin, vicino alla capitale del Guangxi, Nanning, fino al porto di Qinzhou nel sud, integrando le autostrade e le ferrovie esistenti per lo spostamento delle merci. L’enorme canale da 10,3 miliardi di dollari avrà chiuse in grado di ospitare navi mercantili da 5 mila tonnellate. Ciò dimostrerebbe – secondo gli osservatori – lo spostamento dell’attenzione di Pechino verso il miglioramento della connettività marittima per la sua Belt and Road Initiative, a discapito delle rotte terrestri. I funzionari affermano che il canale ridurrà di 560 km la distanza di navigazione tra le reti fluviali interne e il mare, rispetto al passaggio attraverso Guangzhou, con un conseguente risparmio che arriverebbe fino a 5,2 miliardi di yuan all’anno.  

Creando un comodo ed economico accesso vicino al Sud-Est asiatico, il canale Pinglu promette anche di rilanciare le industrie nel Guangxi e in altre parti della Cina occidentale, relativamente meno sviluppata.
Inoltre, le dinamiche geopolitiche potrebbero rendere ancora più urgente la realizzazione del progetto.

Come emerso a metà maggio vertice del Gruppo dei Sette a Hiroshima, così come gli Stati Uniti e gli alleati occidentali sono determinati a “ridurre i rischi” dalla Cina, anche Pechino mira a ridurre le proprie dipendenze commerciali. In un rapporto pubblicato a marzo dal Peterson Institute for International Economics, gli analisti hanno affermato che “entrambe le parti hanno la stessa paura, che l’altra usi improvvisamente i flussi commerciali come arma – tagliando le importazioni o le esportazioni – in nome della sicurezza”.

Il canale mira a rafforzare il commercio già in crescita con gli Stati dell’ASEAN, che sono tutti uniti alla Cina nell’ambito del quadro di libero scambio del Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP), hanno affermato i funzionari. L’ASEAN e la Cina sono ora diventati i maggiori partner commerciali l’uno dell’altro, con un aumento del commercio bidirezionale del 52% dal 2019 al 2022, superando l’aumento del 20% con l’Unione europea.

Oltre a ridurre la dipendenza della Cina dal commercio con l’Occidente, alcuni affermano che intensificare gli affari con il Sud-Est asiatico potrebbe anche attenuare i contrasti tra Pechino e diversi governi della regione. Secondo Phar Kim Beng, CEO della Malaysian consultancy Strategic Pan Indo-Pacific Arena (SPIPA), la Cina e alcuni paesi dell’ASEAN hanno bisogno di tale cooperazione per attenuare l’asprezza dei loro disaccordi territoriali nelle isole Spratly e Paracel, nel Mar Cinese Meridionale. 

Come osservato da Yang del Danish Institute, le lezioni della pandemia hanno ulteriormente spinto le autorità a rafforzare le infrastrutture di trasporto. Le restrizioni del COVID-19 in Cina hanno causato gravi interruzioni della catena di approvvigionamento poiché la logistica era concentrata nei porti chiave della costa orientale del Paese. A suo parere, in seguito alle difficoltà della Cina a gestire la logistica globale durante il COVID, risulta quindi necessario rafforzare alcuni porti in Cina in modo che non faccia affidamento sui porti più grandi di Shanghai.

In effetti, il canale è solo una parte di uno sforzo ben più grande per creare un efficiente corridoio terra-mare. I funzionari del governo del Guangxi affermano che il corridoio emergente ha già accelerato la logistica, abbreviando la durata delle spedizioni da Chongqing – nella Cina occidentale – a Singapore da ventidue a sette giorni. Tuttavia, anche con tali miglioramenti, alcuni esperti avvertono che i pieni vantaggi economici del canale e delle infrastrutture portuali ad alta tecnologia non saranno risolti automaticamente.

Secondo Stephen Olson – ricercatore presso la Hinrich Foundation di Singapore – potrebbero esserci dei limiti alla crescita del commercio con il blocco del Sud-Est asiatico, poiché “la costruzione di infrastrutture efficienti non può da sola creare sinergie commerciali dove non esistono, né può creare industrie competitive in ASEAN, che siano in grado di produrre ciò che gli importatori cinesi richiederanno. L’economia cinese è molto più grande di qualsiasi singola economia dell’ASEAN, e questo crea un effetto leva che a volte può portare a rapporti commerciali sbilanciati e insostenibili”. Olson ha anche espresso scetticismo sugli sforzi sia degli Stati Uniti che della Cina per avvicinare i paesi dell’ASEAN alla loro parte. “Per la maggior parte dei Paesi dell’ASEAN, i loro interessi nazionali sono tutelati rimanendo seduti sulla recinzione e mantenendo solidi legami economici e strategici con entrambi”, ha affermato. 

Un altro aspetto preoccupante è rappresentato dai costi ambientali e finanziari. Uno studio pubblicato nel 2022 dal Transport Planning and Research Institute, sotto il Ministero dei Trasporti cinese, ha segnalato una serie di potenziali effetti collaterali del canale, tra cui l’isolamento o la distruzione degli habitat naturali, i cambiamenti nell’ecologia dell’area, la riduzione della vegetazione, e polvere o altro inquinamento causato dalle navi in transito. Tuttavia, gli autori hanno sostenuto che, a seconda del percorso, i rischi dovrebbero essere “controllabili”, pur osservando che potrebbero essere creati “abbondanti ambienti di zone umide” per mitigare l’impatto. I funzionari del progetto hanno promesso di costruire anche paradisi di conservazione per salvaguardare l’ecologia.

Il conto stimato di 10,3 miliardi di dollari per il progetto del canale arriva con un maggiore controllo della salute fiscale dei governi locali cinesi, ora che le restrizioni sociali legate alla pandemia sono state revocate, e il settore immobiliare sta subendo un grave rallentamento. 

Secondo il portale di ricerca di dati aziendali Aiqicha.com, il progetto del canale è sostenuto dalle istituzioni statali nel Guangxi, incluso il Guangxi Beibu Gulf Investment Group. Al gruppo a dicembre è stato assegnato un rating Baa3 nella sua prima valutazione da parte di Moody’s. Il rating è stato sostenuto dal governo del Guangxi, sebbene l’agenzia abbia notato “la rapida crescita del debito del gruppo legata ai suoi investimenti in progetti di politica pubblica”.

A parte questo, sia i produttori stranieri che quelli locali di Qinzhou affermano di iniziare a sentire sia gli effetti delle nuove strutture portuali, che le conseguenze del RCEP. L’accordo commerciale, firmato anche da Giappone, Corea del Sud, Australia e Nuova Zelanda, entrato in vigore lo scorso anno, elimina il 90% delle tariffe sulle merci scambiate tra i firmatari. “Lo sdoganamento fiscale è stato ridotto da tre giorni a solo uno-due minuti”, ha dichiarato Zhou Ju, un funzionario di Asia Pulp and Paper a Qinzhou, sostenuto dal conglomerato indonesiano Sinar Mas Group. Secondo Zhou, ciò è dovuto al certificato di origine, in quanto la documentazione di esportazione è disponibile online sotto RCEP.

I funzionari insistono sul fatto che il canale Pinglu permetterà alla Cina di ottenere guadagni ancora maggiori dal RCEP. 

Chi è il nuovo Presidente di Singapore

L’ex vicepremier Tharman Shanmugaratnam, 66 anni, ha ottenuto il 70,4% dei voti

Articolo di Tommaso Magrini

Venerdì 1° settembre si sono svolte le elezioni presidenziali di Singapore. Oltre 2,5 milioni di singaporiani si sono recati alle urne in 1.264 seggi elettorali in tutta l’isola. Secondo i risultati finali, Tharman Shanmugaratnam, 66 anni, ha ottenuto il 70,4% dei voti, mentre i suoi colleghi candidati Ng Kok Song e Tan Kin Lian, entrambi 75enni, hanno ottenuto rispettivamente il 15,72% e il 13,88%. Il margine con cui l’ex vice Premier Tharman ha vinto è stato quindi sorprendente e inaspettato per alcuni analisti, visti i recenti scandali che hanno afflitto il Partito d’Azione del Popolo (PAP) nelle ultime settimane e che, secondo loro, avrebbero potuto inficiare la sua candidatura. Così non è stato. Il vincitore ha un profondo rapporto col partito che da sempre domina la scena della città-Stato. E se davvero l’elezione era vista come barometro del sentimento pubblico, allora il PAP ha confermato la sua presa. Tharman è stato un politico popolare, avendo ottenuto diverse vittorie alle elezioni parlamentari, tra cui il più ampio margine di voti alle elezioni generali del 2020 come membro del PAP. Tharman si era dimesso dal partito e dai suoi incarichi di governo a luglio per candidarsi alla presidenza, dopo 22 anni di politica. Il ruolo del Presidente è in gran parte cerimoniale a Singapore, anche se la carica dovrebbe garantire controlli ed equilibri sul governo. Il Presidente ha poteri di veto su qualsiasi bilancio o transazione specifica che possa attingere alle “grandi riserve” nazionali. Il Presidente può anche porre il veto alla nomina o alla rimozione di funzionari pubblici di rilievo e dare ordine all’ufficio anti-frode di indagare su casi specifici anche quando il Primo Ministro non è d’accordo. Il Premier Lee Hsien Loong ha dichiarato di aver chiamato Tharman per congratularsi. “Gli ho assicurato la piena collaborazione del mio governo”, ha aggiunto Lee.

Come è andato il summit dell’ASEAN

Si è svolto a Giacarta, in Indonesia, il 43esimo vertice dell’Associazione delle Nazioni del Sud-Est asiatico. Sottoscritti diversi accordi dentro e fuori dal gruppo

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Ancora unito, nonostante le differenze. Joko Widodo, Presidente dell’Indonesia e padrone di casa del 43esimo summit dell’ASEAN, ha definito così il blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico. Un blocco non nel senso geopolitico del termine, visto che l’ASEAN più di tutti promuove una terza via fatta di non competizione ma semmai di cooperazione. All’interno e all’esterno dell’Associazione, come dimostrano i risultati raggiunti durante il vertice che si è svolto nei giorni scorsi a Giacarta. Almeno 93 progetti, per un valore complessivo di 38,2 miliardi di dollari, sono stati identificati al Forum indo-pacifico dell’ASEAN, una piattaforma per i membri del blocco per mobilitare finanziamenti pubblici e privati e promuovere una più profonda cooperazione economica. Inclusi piani industriali, infrastrutturali e sulla transizione energetica. Sono state inoltre discusse altre 73 opportunità potenziali, per un valore di 17,8 miliardi di dollari. Adottate dichiarazioni su uguaglianza di genere, sostenibilità, cooperazione agricola, sicurezza alimentare e cambiamento climatico. Inoltre, durante l’incontro ASEAN +3, che oltre ai Paesi del Sud-Est include anche Cina, Giappone e Corea del Sud, è stato concordato di lavorare insieme per sviluppare un ecosistema di veicoli elettrici. Un tema cruciale per lo sviluppo economico e tecnologico del futuro prossimo, con un occhio alla sostenibilità. E, soprattutto, un settore nel quale il Sud-Est asiatico sembra destinato a giocare un ruolo di assoluto protagonista. Non è tutto. Con Pechino, alla presenza del Premier Li Qiang, è stata rilasciata una dichiarazione congiunta ASEAN-Cina sulla cooperazione reciprocamente vantaggiosa nell’Indo-Pacifico. Con Pechino si discute anche del rinnovamento dell’accordo di libero scambio entro il 2024 e di nuovi importanti investimenti sul settore strategico dei microchip. Risultati interessanti anche a livello bilaterale. Le Filippine hanno firmato un accordo di libero scambio con la Corea del Sud, mentre l’Indonesia ha chiesto agli Stati Uniti di avviare colloqui su un accordo commerciale sulle risorse minerarie. Sul fronte diplomatico, l’Australia ha annunciato che ospiterà i leader ASEAN a Melbourne il prossimo marzo per un vertice speciale in occasione dei 50 anni di relazioni. Sullo sfondo, ma neanche troppo, resta irrisolta la vicenda della crisi in Myanmar, su cui è stata predisposta la revisione del consenso in 5 punti del 2021. Permangono anche le tensioni sul Mar Cinese Meridionale, anche a causa della competizione tra Cina e Stati Uniti. Competizione in cui, come ribadito da Widodo nel suo discorso conclusivo, l’ASEAN gioca un ruolo da “teatro di pace e inclusione”.

Negoziati per l’accordo di libero scambio UE-Filippine: una priorità per entrambi

Nel summit bilaterale dello scorso luglio, Von der Leyen e Marcos hanno espresso l’intenzione di concludere un accordo commerciale “il prima possibile”. Manila intende raggiungere l’obiettivo prima del 2028. L’accordo permetterebbe di sbloccare il potenziale ancora inespresso dei rapporti economici tra i due partner.

Articolo di Sophia Ordoña (European Chamber of Commerce of the Philippines – ECCP) e Pierfrancesco Mattiolo 

La Presidente della Commissione Europea Ursula Von der Leyen, nella sua recente e importante visita alle Filippine di fine luglio, ha espresso la volontà di riprendere i negoziati per l’accordo di libero scambio (ALS) tra l’UE e la nazione asiatica. Il presidente delle Filippine Ferdinand Marcos Jr. ha a sua volta espresso il suo appoggio a una rapida conclusione del trattato prima del termine del suo mandato, nel 2028. L’agenda economica di Marcos è orientata verso una decisa apertura del mercato nazionale: dopo aver liberalizzato le telecomunicazioni, i traporti e le energie rinnovabili, la conclusione dell’ALS segnerebbe un ulteriore, deciso, passo in questa direzione. Le Filippine sono un partner strategico per l’Europa e l’Italia. Le relazioni economiche tra Roma e Manila sono solide, nel 2022 valevano 1.24 miliardi di euro, e l’ALS aumenterebbe le opportunità in settori chiave come i macchinari agricoli, le infrastrutture e il tessile. A conferma del cordiale clima di collaborazione tra i due Paesi, lo scorso anno i Ministeri del Turismo italiano e filippino hanno iniziato a lavorare su un accordo di cooperazione turistica.

L’ALS rappresenta un opportunità sia per Bruxelles che per Manila. L’UE riconosce nelle Filippine un like-minded partner sul piano dei valori democratici e dello sviluppo sostenibile, collocato in una regione, l’Indo-Pacifico, particolarmente delicata per gli interessi economici e strategici dell’Unione.  Approfondire i legami con le Filippine – e tutti gli altri partner ASEAN – rientra nella strategia di de-risking adottata dall’UE, ossia coltivare i rapporti con nuovi partner commerciali e mitigare i rischi politici ed economici legati al dipendere troppo da Paesi come la Cina. Per l’amministrazione Marcos, stipulare il trattato prima del 2028 è una priorità non solo sul piano politico, ma anche commerciale. Il Paese infatti, per il momento, gode dello Schema di Preferenze Generalizzate Plus (GSP+) che garantisce a molti prodotti filippini di accedere al mercato europeo senza alcun dazio. Questo regime di favore scadrà a fine 2023. Anche se la Commissione ha proposto di estenderlo fino al 2027, le Filippine sono comunque in procinto di diventare un’economia a reddito medio-alto intorno al 2025. Tale “promozione” farebbe iniziare un periodo di transizione di tre anni, dopo il quale Manila perderebbe i vantaggi del GSP+, dato che questo ha come scopo il supporto dei Paesi con redditi più bassi. Se concluso prima del 2028, l’ALS sostituirebbe il GSP+ e permetterebbe quindi alle aziende filippine di mantenere l’accesso al mercato europeo senza tariffe sui prodotti coperti dal trattato.

Dal punto di vista filippino, i settori che trarrebbero beneficio dall’accordo sono molti, ad esempio l’agricoltura e l’energia. Più nello specifico, l’abbigliamento vedrebbe un aumento degli impiegati tra i 120.000 e i 250.000 e delle esportazioni per 600 milioni di dollari nei primi due anni dall’attuazione dell’accordo. L’arcipelago è anche ricco di materie prime essenziali (ad esempio, nickel, rame e cromite) di importanza cruciale per le tecnologie verdi. Ma anche lo scambio di servizi potrebbe aumentare. Il settore IT filippino vale 50 miliardi di dollari ed è molto dinamico, quindi potrebbe espandere le sue quote di mercato in Europa. Per le aziende europee, sarebbe conveniente avere maggiore accesso a un Paese è in crescita sotto ogni punto di vista: economico (il PIL è cresciuto del 7,6% nel 2022), demografico e sociale, con una classe media giovane e sempre più numerosa. L’accordo potrebbe finalmente sbloccare un potenziale economico ancora inespresso: gli scambi bilaterali Bruxelles-Manila sono relativamente bassi quando confrontati a quelli tra Europa e altri Paesi ASEAN e solo il 4% degli investimenti europei nelle economie ASEAN è diretto verso le Filippine.

I negoziati per l’ALS dovranno anche superare alcuni ostacoli. La tutela dei diritti di proprietà intellettuale è stato uno dei capitoli più delicati dei precedenti round negoziali tra i due partner, ma ora potrebbe essere più facile trovare un punto di incontro, dato che le Filippine non sono più nella watch list sulla proprietà intellettuale della Commissione Europea dal 2019. Il capitolo sulla proprietà intellettuale nel futuro ALS includerebbe, con ogni probabilità, regole più forti sulla tutela delle indicazioni geografiche (DOP, IGP,…) dei prodotti alimentari europei e italiani. Infine, Von der Leyen ha indicato la necessità di un più profondo allineamento tra i due partner in materia di protezione ambientale e dei lavoratori. La Presidente della Commissione ha anche riconosciuto i passi avanti fatti dal Paese in materia di diritti umani e il dialogo bilaterale tuttora in corso intende affrontare le questioni ancora aperte. Tali ostacoli possono divenire opportunità, se l’ALS riuscirà a includere regole efficaci in queste materie. Un accordo rappresenterebbe un’opportunità di crescita non solo economica, ma anche politica e sociale per entrambi i partner. 

Il Sud-Est asiatico faro di crescita

La regione sta beneficiando di una ristrutturazione delle catene di approvvigionamento globali, poiché si trova all’incrocio di due dei più grandi accordi di libero scambio del mondo

Di Tommaso Magrini

A un anno e mezzo dall’inizio di uno storico ciclo di rialzo dei tassi d’interesse, le prospettive economiche del Sud-Est asiatico continuano a distinguersi in un mondo caratterizzato da un’inflazione elevata e da una domanda debole. Lo mette in luce un editoriale pubblicato su Nikkei Asia, che sottolinea come HSBC prevede che le sei maggiori economie del Sud-Est asiatico – Indonesia, Thailandia, Malesia, Filippine, Singapore e Vietnam – cresceranno del 4,2% quest’anno e del 4,8% il prossimo. Questo ritmo supererebbe di gran lunga l’espansione dell’1,1% prevista per il mondo sviluppato nel 2022 o lo 0,7% stimato per l’anno prossimo. Questa accelerazione è tanto più notevole se si considera che gli afflussi di dollari del turismo cinese non sono tornati nel Sud-Est asiatico come previsto. Una ripresa del turismo sarebbe certamente una manna per il Sud-Est asiatico. Ma nel frattempo, il commercio, la transizione energetica e la trasformazione digitale sono destinati ad alimentare la crescita economica della regione per i decenni a venire e a garantire che questa dinamica regione rimanga un motore di crescita globale. Il Sud-Est asiatico ha fatto molta strada come hub manifatturiero. Oggi rappresenta l’8% delle esportazioni globali e dal 2020 ha superato l’Unione Europea come principale partner commerciale della Cina. La regione sta beneficiando di una ristrutturazione delle catene di approvvigionamento globali, poiché si trova all’incrocio di due dei più grandi accordi di libero scambio del mondo, il Partenariato economico globale regionale (RCEP) e l’Accordo globale e progressivo per il Partenariato trans-pacifico. Il RCEP in particolare, con le sue riduzioni tariffarie e le sue regole di origine favorevoli alle imprese, sta aumentando l’attrattiva del Sud-Est asiatico come base produttiva, un fatto che sempre più aziende stanno riconoscendo. Secondo una recente indagine di HSBC, le aziende dell’Asia-Pacifico prevedono di basare il 24,4% delle loro catene di fornitura nel Sud-Est asiatico nei prossimi uno o due anni, rispetto al 21,4% del 2020.

Che cosa aspettarsi dal summit dell’ASEAN

Dal 5 al 7 settembre in programma il 43esimo vertice dei Paesi del Sud–Est asiatico a Giacarta, in Indonesia. Obiettivo: preparare il blocco alle sfide dei prossimi 20 anni

La Presidenza di turno dell’ASEAN, l’Indonesia, ha dichiarato di aver invitato 27 leader mondiali e direttori esecutivi di organismi internazionali al 43° vertice dell’ASEAN a Giacarta, in programma dal 5 al 7 settembre. I tre giorni di colloqui non riuniranno solo i leader degli Stati membri dell’ASEAN, ma anche i partner esterni del blocco. Anche le istituzioni finanziarie globali, come la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale (FMI), sono invitate al dialogo. “Ci aspettiamo la partecipazione dei leader di 27 Paesi e organizzazioni internazionali al prossimo vertice”, ha dichiarato Sidharto Suryodipuro, direttore generale per la Cooperazione ASEAN presso il Ministero degli Affari Esteri. Al vertice proseguiranno le discussioni sul rafforzamento della capacità e dell’efficacia istituzionale del blocco per aiutare l’organizzazione a rispondere alle sfide dei prossimi 20 anni. Suryodipuro ha dichiarato che l’Indonesia intende gettare le basi della cooperazione ASEAN per affrontare le sfide attuali e future. Il 43° vertice ASEAN vedrà anche il passaggio della presidenza del gruppo regionale al Laos, che avrà la guida del blocco per il 2024. Parallelamente, il Presidente Joko “Jokowi” Widodo guiderà 12 incontri durante i tre giorni del forum, tra cui il 18° vertice dell’Asia orientale. Oltre ai colloqui del gruppo con i partner di dialogo, tra cui Stati Uniti e India. Tra gli altri, dovrebbero esserci il Primo Ministro canadese Justin Trudeau e quello indiano Narendra Modi, nonostante pochi giorni dopo sarà chiamato a ospitare il summit del G20 a Nuova Delhi. India e ASEAN hanno peraltro da poco comunicato di voler aggiornare il loro accordo di libero scambio entro il 2025. Sembra invece che sarà assente Joe Biden, che ha scelto di viaggiare solo tra India e Vietnam nella sua trasferta asiatica di settembre. Una decisione che non farà piacere al padrone di casa indonesiano, anche se al suo posto arriverà comunque la Vicepresidente Kamala Harris, che ha viaggiato più volte nel Sud-Est asiatico dall’inizio del suo incarico. Giacarta sta intanto cercando di aderire all’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE). Se il piano avrà successo, l’Indonesia diventerà il terzo Paese asiatico a entrare nell’organizzazione, dopo la Corea del Sud e il Giappone.

Come sono andate le elezioni statali in Malesia

I risultati hanno mostrato un testa a testa tra le due coalizioni che difficilmente destabilizzerà il Governo di Unità. Il fronte nazionalista-malayu si è aggiudicato Kelantan, Kedah e Terengganu, tra gli stati più poveri della Malesia

Articolo di Aniello Iannone

Dipartimento di Politica e Studi Governativi Università Diponegoro

Poche settimane fa si sono svolte le elezioni statali in Malesia in 6 dei 13 stati. Agli scrutini sia il governo di coalizione PH (Pakatan Harapan , alleato con BN (Barisan Nasional) e guidato dal Premier Anwar Ibrahim, sia l’opposizione con la coalizione PN (Perikatan National) e PAS si sono garantiti 3 stati ciascuno, rispecchiando le previsioni pre-elezioni. Le elezioni sono state una prova importante per Anwar per analizzare il livello di polarizzazione politica tra la popolazione in risposta alle scorse elezioni generali avvenute 9 mesi fa e alla crisi politica che, dal 2018, ha visto cadere in meno di 4 anni 4 diversi governi a seguito di colpi interni e instabilità politico-economica post-pandemia da COVID-19. Tuttavia, l’importanza di queste elezioni risiede nel voto espresso. La Malesia rimane un Paese con un alto livello di dibattito nazionale etnico nella politica e per decenni, sotto l’egemonia di UMNO, è stata caratterizzata da una narrativa pro-Malayu-Islam con politiche che hanno creato qualche tensione con l’altra parte della popolazione malese, cioè quella di origine indiana e cinese. 

I risultati hanno mostrato un testa a testa tra le due coalizioni che difficilmente destabilizzerà il Governo di Unità. Il fronte nazionalista-malayu guidato dalla coalizione PN si è aggiudicato Kelantan, Kedah e Terengganu, tra gli stati più poveri della Malesia, conquistando i due terzi dell’elettorato. Nel dettaglio, PH è stata completamente sconfitta, riuscendo a strappare solo 3 seggi a PN su 36 a Kedah. In Kelantan la situazione è andata peggio, dove Anwar è riuscito a conquistare solo 2 seggi su 45. In Terengganu invece tutti i 32 seggi sono andati a PN. Kedah, in particolare (ma anche Kelantan e Terengganu), è stata travolta dalle ultime elezioni del 2022 dall’onda verde (in riferimento al colore del partito PAS, il Pan-Malaysian Islamic Party e membro importante della coalizione PN), dove PN ha vinto 14 seggi su 15, riducendo al minimo l’influenza di BN nella regione.

Proprio PAS può essere considerato il vincitore di queste elezioni, emerso dall’onda verde è riuscito a mostrare la sua importanza all’interno della coalizione PN. Tuttavia, questo emergere di PAS potrebbe comportare conseguenze importanti sia nei confronti di altri partiti della coalizione PN come BERSATU, sia per il governo di unità vista la natura estremista nazionale-islamica di PAS. Ideologicamente e storicamente, PAS ha una struttura filosofica politica nazionalista, nata nel 1951 durante i meeting tra musulmani conservatori tra Kuala Lumpur e Pengan e fortemente influenzata dalla rivoluzione egiziana e dall’insorgere della fratellanza musulmana in Medio Oriente e della rivoluzione Khomeinista in Iran. Tuttavia, una differenza importante rispetto agli altri partiti nazionalisti dominanti, come UMNO, è il ruolo dell’islam ideologico basato sulla Sharia. Questo spiega anche la sua vittoria alle elezioni negli stati con dominanza malay-islam, come Kelantan.

La coalizione progressista PH, alleata con BN (che in questo contesto è un’estensione di UMNO all’interno della coalizione di governo ed è l’unico partito nazionalista nella coalizione), attualmente guida il governo con Anwar come capo. Si è invece aggiudicata gli stati di Selangor, Negeri Sembilan e Penang. Questo risultato appare bilanciato, almeno a una prima analisi, e mantiene lo status quo. Su un totale di 13 stati, le elezioni si sono tenute in 6 di essi, di cui 3 sono andati all’opposizione con una grande maggioranza. Inoltre, anche negli stati più ricchi del Paese, come Selangor, la battaglia politica tra le due parti ha visto PN avere successo in parte, riuscendo a conquistare 22 seggi su 56 e impedendo a PH di ottenere una maggioranza nell’assemblea di Selangor.

Dopo 9 mesi dalle 15esime elezioni generali, le elezioni statali sono state una prova importante per il governo di unità guidato da Anwar. Su 6 stati in cui si sono tenute le elezioni, in 3 l’opposizione, in particolare la destra nazionalista islamica, ha ottenuto la maggioranza. L’attuale risultato non comporterà un cambiamento dello status quo nel Paese, che è guidato dal governo di unità sotto la guida della coalizione progressista di Anwar. Tuttavia, in questo momento il governo dovrebbe concentrarsi sulla preservazione del sostegno popolare, soprattutto nelle zone a maggioranza malayu. Una eventuale mancanza di supporto sia da parte dell’opinione pubblica che degli elettori potrebbe spingere l’opposizione a chiedere lo svolgimento di nuove elezioni generali.

 

Italia e Vietnam partner sempre più strategici

La visita del Presidente vietnamita a Roma ha rafforzato ulteriormente i rapporti tra i due Paesi. Chiuso anche un accordo tra Hanoi e Santa Sede

Editoriale a cura di Lorenzo Lamperti

Il cinquantesimo anniversario delle relazioni diplomatiche ufficiali tra Italia e Repubblica Socialista del Vietnam ha vissuto uno dei suoi momenti più rilevanti tra il 26 e il 27 luglio, quando il Presidente vietnamita Vo Van Thuong si è recato in visita ufficiale a Roma su invito del Presidente della Repubblica Italiana, Sergio Mattarella. L’incontro è stato il primo evento ufficiale tra i Capi di Stato dei due Paesi in sette anni. Ma è stata anche l’occasione per celebrare un altro anniversario, il decimo, del partenariato strategico stabilito nel 2013. Durante la visita, le due parti hanno discusso e rafforzato i legami di fiducia politica e di cooperazione strategica tra Vietnam e Italia. I due Paesi sono ormai importanti partner reciproci in vari settori, tra cui l’economia, la difesa e la sicurezza, l’istruzione e la formazione, la scienza e la tecnologia, la cultura, il turismo e altro ancora. Per quanto riguarda la cooperazione politica, diplomatica, di difesa e di sicurezza, le due parti hanno concordato di rafforzare la cooperazione tra i rispettivi Ministeri degli Affari Esteri e di mantenere consultazioni politiche a livello ministeriale tra i Vice Ministri degli Affari Esteri. Hanno inoltre sottolineato l’importanza della cooperazione nel campo della difesa e della sicurezza, concordando la possibilità di visite della Marina Militare italiana in Vietnam. In termini di cooperazione economica, commerciale e di investimenti, entrambe le parti si sono impegnate ad attuare pienamente ed efficacemente l’Accordo di libero scambio Vietnam-UE e a migliorare il reciproco accesso al mercato eliminando le barriere commerciali inutili e ingiustificate. Il Vietnam ha accolto con favore la ratifica da parte del Parlamento italiano dell’Accordo UE-Vietnam sulla protezione degli investimenti, che creerà condizioni favorevoli per gli investitori di entrambe le parti. Si è inoltre discusso delle opportunità di cooperazione in vari settori come lo sviluppo delle infrastrutture, l’economia digitale, le tecnologie avanzate, le energie rinnovabili, le industrie creative e l’agricoltura intelligente. Italia e Vietnam puntano inoltre a espandere la cooperazione nei settori scientifici e tecnologici, nell’istruzione e nella formazione e hanno incoraggiato gli scambi culturali e artistici. Il viaggio del Presidente vietnamita ha prodotto anche un importante annuncio con la Santa Sede, con la quale è stato raggiunto uno storico accordo per l’invio di un rappresentante vaticano ad Hanoi. Il Vietnam è sempre più vicino.

Cambogia, Hun Manet è il nuovo leader

Hun Sen ha lasciato il posto di Primo Ministro al figlio dopo le elezioni del 23 luglio. Ma i due hanno percorsi diversi

Di Tommaso Magrini

Come previsto dopo le elezioni del 23 luglio, il Premier cambogiano Hun Sen ha lasciato il posto al figlio Hun Manet, la cui conferma a premier è arrivata col voto dell’Assemblea nazionale martedì 22 agosto. Ma chi è Hun Manet? Si tratta del maggiore dei cinque figli di Hun Sen, nato nel 1977 nella Cambogia rurale. Suo padre disse che il figlio era nato da uno spirito emerso da un albero di banyan in un lampo di luce. Hun Manet è sposato con Pich Chanmony, figlia di un importante politico cambogiano, e ha tre figli. A differenza del padre, che non ha avuto un’istruzione formale, Hun Manet ha goduto di un’educazione privilegiata, grazie alla quale ha conseguito un master alla New York University e un dottorato all’Università britannica di Bristol, entrambi in economia. Diplomato all’accademia militare di West Point negli Stati Uniti, il neo Premier ha scalato rapidamente i ranghi delle forze armate cambogiane, guidando una squadra antiterrorismo e ricoprendo il ruolo di vice capo dell’unità di guardia del corpo del padre, nonché di capo dell’esercito e vice comandante militare. Sul fronte politico, ha guidato l’ala giovanile del Partito Popolare Cambogiano (CPP) ed è stato membro del suo comitato permanente. I vicini asiatici e i Paesi occidentali osserveranno con attenzione per capire se Hun Manet manterrà lo status quo o perseguirà una maggiore liberalizzazione, che in realtà sul fronte economico è già stata avviata dal padre. All’inizio di agosto, il Presidente del Consiglio d’affari USA-ASEAN ha dichiarato alla Reuters che l’organismo spera di ospitare presto Hun Manet a New York. Nelle sue prime dichiarazioni dopo essere diventato premier, Hun Manet ha promesso di migliorare l’economia, lo stato di diritto e la giustizia sociale, oltre a sviluppare le risorse umane e le infrastrutture, combattere il cambiamento climatico e aumentare i salari degli operai e dei dipendenti pubblici.

Thailandia, ecco chi è il nuovo Premier Srettha Thavisin

Dopo un prolungato periodo di incertezza politica, la Thailandia ha il suo nuovo Primo Ministro: Srettha Thavisin, ex magnate dell’immobiliare, istruito negli Stati Uniti, da sempre vicino alla famiglia Shinawatra. È lui l’estrema sintesi di un governo che unisce Pheu Thai, conservatori e militari

Di Francesco Mattogno

A cento giorni dalle elezioni del 14 maggio, la Thailandia ha eletto il suo nuovo primo ministro. Con 482 voti favorevoli (tra cui 152 senatori), 165 contrari e 81 astenuti, nel corso della votazione congiunta di camera e senato del 22 agosto il candidato del Pheu Thai Srettha Thavisin ha superato la soglia necessaria di 374 seggi ed è diventato il trentesimo premier della storia thailandese.

La sua nomina è stata approvata dal re Maha Vajiralongkorn, che ha così ufficializzato l’esito del voto parlamentare e spianato la strada alla formazione del nuovo governo. Che non sarà un governo “del cambiamento”. O almeno non del cambiamento votato dalla maggioranza relativa dei thailandesi, che alle urne avevano premiato il Move Forward, la formazione politica più progressista e radicale del Paese, come il partito con il maggior numero di seggi alla camera bassa (151).

A guidare il nuovo esecutivo sarà invece il Pheu Thai, arrivato secondo alle elezioni (141 seggi). In una svolta tanto brusca quanto annunciata, a inizio agosto il partito fondato da Thaksin Shinawatra ha abbandonato il progetto di coalizione con il Move Forward e dato il via a una serie di negoziazioni per formare un’alleanza con le forze politiche legate all’establishment conservatore e filo-militare.

L’esito positivo dei colloqui ha portato alla nascita di una coalizione di undici partiti e 314 seggi che racchiude buona parte del governo uscente guidato dall’ex generale golpista Prayut Chan-o-cha, fatta eccezione per il Partito Democratico. L’alleanza che ha sostenuto Srettha comprende infatti il Bhumjaithai (BJT) dell’ex ministro della Sanità Anutin Charnvirakul, che potrebbe diventare il prossimo ministro dell’Interno, e i due partiti dei militari, il Palang Pracharat (PPRP) dell’altro generale golpista Prawit Wongsuwon e lo United Thai Nation (UTN) del premier uscente Prayut, che ha però annunciato di volersi ritirare dalla politica.

Di fatto, il Pheu Thai ha stretto accordi con quelli che fino al 14 maggio scorso erano i suoi più acerrimi nemici. Nel corso degli ultimi vent’anni il partito dei Shinawatra è stato estromesso dal potere due volte a seguito di colpi di Stato dell’esercito (2006 e 2014), e i suoi leader sono stati condannati per corruzione e abuso di potere dai tribunali legati ai militari. Il BJT è invece nato nel 2008 dopo una scissione interna al Pheu Thai, diventando da allora per i sostenitori dei rossi un simbolo di tradimento e di affiliazione al potere conservatore. Inoltre 16 deputati su 25 dello stesso Partito Democratico, un tempo avversario numero uno dei Shinawatra e oggi in piena crisi, hanno votato a favore della nomina di Srettha contravvenendo alla linea di astensione del partito.

Si tratta di un capovolgimento di quanto promesso prima delle elezioni. In piena campagna elettorale Srettha – così come tutti i vertici del Pheu Thai – aveva escluso un’alleanza con i militari. Lunedì, prima del voto, ha chiesto invece ai thailandesi di «dimenticare» quelle parole per il bene della Thailandia. Il Pheu Thai sostiene di non aver avuto alternative, dato che il senato (nominato dai militari) avrebbe impedito a una qualunque coalizione comprendente il Move Forward di governare. Per formare un esecutivo bisognava dunque arrendersi al compromesso con le forze conservatrici in nome della “riconciliazione nazionale“. E così è stato.

Nonostante gli scetticismi, il nuovo primo ministro si è impegnato a fare in modo che la coalizione rispetti il programma elettorale del Pheu Thai, che ha fatto dell’economia una «priorità» da affiancare a politiche più progressiste e democratiche, come l’emendamento della costituzione e la fine della coscrizione obbligatoria.

Srettha è il principale promotore del “portafoglio digitale”, un sussidio di 10.000 baht (270 euro) promesso dal suo partito a tutti i maggiori di 16 anni, che andrebbe ad aggiungersi a un aumento del salario minimo. In campagna elettorale ha dichiarato che avrebbe spinto per allargare i mercati dell’export thailandese in Africa e Medio Oriente e per stringere più accordi di libero scambio (su tutti, quello con l’Unione Europea), dicendosi contrario anche al decoupling tra Cina e Stati Uniti. «Non credo nel lavorare con le singole nazioni», ha affermato in un’intervista al Nikkei.

Membro di una famiglia ben connessa all’interno dell’élite thailandese, Srettha ha studiato negli Stati Uniti economia e finanza (si è laureato all’Università del Massachusetts e ha preso un master alla Claremont Graduate School in California), e una volta tornato in Thailandia negli anni ’90 è diventato presidente di Sansiri, azienda di famiglia che è diventata una delle più grandi società del settore dell’immobiliare thailandese. Al contrario di molti suoi colleghi imprenditori, Srettha si è spesso esposto politicamente sui social e non solo, diventando uno degli uomini di fiducia degli ex premier Thaksin e Yingluck Shinawatra. A novembre dell’anno scorso si è infine unito al Pheu Thai, dimettendosi da CEO di Sansiri due mesi prima delle elezioni.

In mezzo alla prolungata crisi politica, il PIL del paese è cresciuto solo dell’1,8% nel secondo trimestre del 2023, ben al di sotto delle attese. Per questo, secondo Bloomberg, vista la sua carriera imprenditoriale e le promesse di stimolare l’economia thailandese attraverso la spesa pubblica, gli investitori dovrebbero accogliere positivamente la nomina di Srettha a premier. E si parla di un suo possibile doppio ruolo anche come ministro delle Finanze. Diverso è il discorso sul piano prettamente politico. Il nuovo primo ministro non ha esperienza politica, né una base di sostegno forte sia dentro il partito che nell’elettorato. Ed è un dettaglio non da poco per un premier che dovrà tenere in piedi una coalizione potenzialmente molto fragile e impopolare (un sondaggio su un campione di 1.310 cittadini ha registrato circa il 63% di disapprovazione).

A dispetto del discreto risultato alle urne, per la prima volta in vent’anni il Pheu Thai non ha vinto le elezioni. Questo rende Srettha un primo ministro molto più debole dei suoi predecessori eletti con il partito dei Shinawatra, arrivati sulla poltrona con enormi mandati popolari e circondati da una sorta di aura di invincibilità. E in un’ulteriore minaccia alla sua legittimità, Srettha è stato accusato di evasione fiscale e pratiche illecite durante la sua attività alla Sansiri. Il nuovo premier dovrà quindi dimostrare di saper controllare un governo in cui il Pheu Thai, nonostante sia il partito più grande della coalizione, si trova di fatto in minoranza rispetto a potenziali accordi tra BJT, PPRP e UTN, che insieme contano 147 seggi. Ci si chiede allora quanto Srettha riuscirà a implementare le politiche promesse, e se a muoversi dietro di lui possa esserci una figura ben più navigata come Thaksin, peraltro appena rientrato dall’esilio.

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