La principessa Pa a Vienna – attraverso gli occhi del collega diplomatico Sun Thathong

Sono stato coinvolto per la prima volta nel lavoro della Principessa Pa quando ho affiancato il Ministro degli Affari Esteri nel 2009. Mi fu assegnato il compito di far parte del team che si batteva per l’adozione delle “Leggi di Bangkok sul trattamento delle donne detenute e autori di reato” da parte dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Si trattava del culmine di un progetto che stava particolarmente a cuore alla Principessa Pa. In Brasile, ricordo di essere rimasto sveglio fino alle tre del mattino, per difendere la proposta di includere un paragrafo su questa bozza delle Leggi di Bangkok nel documento finale del Dodicesimo Congresso sulla criminalità del 2010. Più tardi, ciò avrebbe spianato la strada all’adozione delle regole, avvenuta con successo lo stesso anno a New York. In quell’occasione, ho appreso molto delle sue motivazioni personali e sugli sforzi compiuti dietro l’iniziativa. Il suo senso di giustizia mi ha colpito molto da subito. 

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Princess Bajrakitiyabha at the 12th session of the Human Rights Council 

September 2009, Geneva 

Source: Jeff Hoffman, UN 

Un anno dopo l’approvazione delle LEggi di Bangkok, mi sono congedato per perseguire un dottorato in legge nel Regno Unito. Nel 2018, quando sono tornato e mi sono recato in Austria, ho nuovamente avuto modo di vedere il lavoro della Principessa Pa. Questa volta, però, si trattava dei frutti del suo lavoro in qualità di ambasciatrice a Vienna nel periodo 2012-2014.

Due anni sono ritenuti un periodo relativamente breve per un incarico, ma sono stati sufficienti per lasciare un’impronta durevole. Durante i quattro anni trascorsi a Vienna, ho imparato ad ammirarla come esemplare di avvocato-diplomatico, la cui passione per la giustizia e lo stato di diritto ha servito gli interessi della Thailandia in molti modi significativi. Dal punto di vista di un professionista, ho trovato tutto ciò di grande ispirazione.

La strada della Principessa verso Vienna

Prima di arrivare a Vienna, mi ero spesso domandato come avrebbe fatto la Principessa Pa, così giovane, a gestire il lavoro di Ambasciatrice della Thailandia in Austria, Slovacchia e Slovenia e di Rappresentante Permanente della Thailandia presso l’ONU e l’Organizzazione Mondiale della Sanità e altre organizzazioni internazionali con sede a Vienna. Come avrebbe fatto a occuparsi di oltre 6.000 thailandesi in tre Paesi e a rappresentare contemporaneamente la Thailandia in diverse organizzazioni internazionali? Dire che il lavoro era impegnativo è un eufemismo e alcuni direbbero che avrebbe dovuto richiedere decenni di esperienza in campo diplomatico.

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Princess Bajrakitiyabha addressing the UN General Assembly’s High-Level Meeting on the Rule of Law, 24 September 2012, New York. 

Source: UN 

Dal mio punto di vista, il dottorato in legge conseguito alla Cornell, l’illustre carriera di avvocato-procuratore tailandese e la precedente esperienza di lavoro nell’ambito della Missione permanente tailandese presso le Nazioni Unite a New York , l’hanno preparata sotto più punti di vista rispetto ad altri colleghi, diplomatici di carriera.

Ho poi realizzato un fattore fondamentale. Essendo nata come personaggio pubblico, la Principessa Pa ha naturalmente ricevuto una “formazione diplomatica” fin dalla nascita. Inoltre, in quanto membro della famiglia reale, servire il suo popolo e la compassione per le sue prove e tribolazioni erano nel suo sangue. Le Nazioni Unite avevano già riconosciuto le sue capacità diplomatiche quando, nel 2008, l’avevano nominata ambasciatrice nazionale delle Nazioni Unite per la Thailandia. Anche l’adozione delle Leggi di Bangkok, avvenuta nel 2010, è stata in parte il risultato del suo riconoscimento e delle sue capacità nella diplomazia multilaterale.

La Principessa Pa aveva già padroneggiato le conoscenze essenziali di un diplomatico qualche tempo prima di arrivare a Vienna. Questo spiega perché, nonostante il suo mandato relativamente breve come Ambasciatore e Rappresentante Permanente della Thailandia a Vienna, sia stata in grado di dare un contributo così importante, facendo progredire gli interessi nazionali e la diplomazia multilaterale della Thailandia.

Guidare i leader  

Il compito principale di un rappresentante permanente è rappresentare il proprio Paese e promuoverne gli interessi nei negoziati internazionali. Alcuni possono assumere ruoli aggiuntivi e volontari nella conduzione delle riunioni e nella presidenza degli organi decisionali di queste organizzazioni. Mi ha stupito sapere che, durante la sua permanenza a Vienna, la Principessa Pa ha assunto personalmente un lungo elenco di questi incarichi di leadership volontaria in diversi consessi.

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Princess Bajrakitiyabha chairing the 21st session of the Commission on Crime Prevention and Criminal Justice in Vienna, 23 – 27 April 2012

Source: UNODC

Per la Commissione per la prevenzione del crimine e la giustizia penale, un organismo delle Nazioni Unite che si occupa di prevenzione del crimine e giustizia penale, la Principessa Pa ha ricoperto il ruolo di presidente della sessione annuale dal 2011 al 2012. Per la Commissione sugli stupefacenti, un organismo delle Nazioni Unite che si occupa di questioni legate alla droga, ha ricoperto il ruolo di secondo vicepresidente della sessione annuale del 2013 e di primo vicepresidente l’anno successivo. Per l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, un’organizzazione che cerca di promuovere l’uso pacifico dell’energia nucleare, è stata vicepresidente della sessione annuale del 2013 della Conferenza generale dell’Agenzia. È stata anche vicepresidente della sessione inaugurale (2012) dell’Assemblea generale dell’Accademia internazionale anticorruzione, un’istituzione che promuove l’educazione anticorruzione. 

Ho visto altri rappresentanti permanenti thailandesi svolgere ruoli simili e ho fatto parte del team che li ha serviti, ma non ho mai sentito parlare di un singolo rappresentante permanente che ha assunto una lista così lunga di ruoli in un periodo di tempo così breve. In effetti, l’essere stata eletta a questi incarichi, uno dopo l’altro, è stata la prova non solo della fiducia che i circoli diplomatici viennesi riponevano nella Principessa Pa, ma anche della sua incredibile etica del lavoro e della sua competenza. Nel ricoprire queste cariche, ha contribuito a costruire ponti, a risolvere tensioni e a promuovere obiettivi comuni. In questo modo, ha migliorato non solo il profilo della Thailandia, ma anche quello delle stesse organizzazioni.

Princess Bajrakitiyabha met with the UN Secretary-General during the UN General Assembly’s Thematic Debate on ‘Drugs and Crime as a Threat to Development,’ 26 June 2012, New York

Source: UN

Influenzare l’agenda globale 

La Principessa Pa ha cercato di ampliare l’influenza della Thailandia anche in altri modi. Uno di questi è stato quello di far conoscere meglio la Thailandia come centro di incontri internazionali. In occasione della prima sessione dell’Assemblea generale dell’Accademia internazionale anticorruzione nel 2012, la Principessa Pa ha presentato l’offerta della Thailandia di ospitare la seconda sessione dell’Assemblea in Thailandia l’anno successivo, invito che l’Assemblea ha accettato volentieri. Nel 2014, poi, la Thailandia ha ospitato due riunioni delle Nazioni Unite presiedute dalla stessa Principessa Pa: una riunione preparatoria per il 13° Congresso sulla criminalità e una riunione di un gruppo di esperti per sviluppare bozze di strategie modello e misure pratiche sull’eliminazione della violenza contro i bambini.

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Princess Bajrakitiyabha at the ECOSOC panel discussion on crime prevention in the context of post-2015 development agenda, 22 July 2013, Geneva

Source: Jean-Marc Ferre. UN

Un altro modo in cui la Principessa Pa ha ampliato l’influenza della Thailandia è stato quello di impegnarsi attivamente con gli attori rilevanti per promuovere le cause della Thailandia. Nel 2013, la Principessa Pa ha partecipato a una tavola rotonda sulla prevenzione del crimine nel contesto dell’agenda di sviluppo post-2015 durante una riunione dell’ECOSOC a Ginevra. Più tardi nel 2013, a margine della sessione annuale dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, ha moderato una tavola rotonda di alto livello sulle uccisioni di donne e ragazze legate al genere. Ha inoltre incontrato il Segretario generale aggiunto delle Nazioni Unite per discutere di questioni relative allo Stato di diritto e allo sviluppo sostenibile. Al di fuori delle Nazioni Unite, ha tenuto discorsi alle riunioni dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE), di cui la Thailandia è Paese partner, per condividere le esperienze della Thailandia nella promozione dello Stato di diritto, dello sviluppo sostenibile e dell’emancipazione femminile.


Ottenere risultati concreti

In meno di due anni, più di dieci risoluzioni proposte o co-proposte dalla Thailandia sono state adottate con successo dagli organi delle Nazioni Unite con sede a Vienna. Nel 2013-2014, la Commissione sugli stupefacenti ha adottato cinque risoluzioni proposte o co-proposte dalla Thailandia su temi quali lo sviluppo alternativo e la prevenzione dell’abuso di droga. Nello stesso periodo, la Commissione per la prevenzione del crimine e la giustizia penale ha adottato otto risoluzioni proposte o co-proposte dalla Thailandia su temi quali l’eliminazione della violenza contro i bambini, il trattamento dei detenuti e la giustizia penale.


Questo numero elevato non è di per sé indice di risultati senza precedenti, dato che è normale che ogni anno la Thailandia proponga e co-patrocini alcune (o più) risoluzioni presso le organizzazioni internazionali con sede a Vienna. Tuttavia, dimostra che sotto l’ambasceria della Principessa Pa, la Thailandia ha continuato a essere proattiva e a ottenere buoni risultati a Vienna. Vale anche la pena notare che è stato durante l’ambasceria della Principessa Pa a Vienna che la Thailandia ha finalmente ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite contro la criminalità organizzata transnazionale e il suo protocollo contro il traffico di esseri umani, dopo averli firmati per oltre un decennio.


Sarebbe fuorviante concludere che la Principessa Pa abbia avviato e portato a termine da sola tutti i compiti sopra descritti. Non va trascurato il ruolo cruciale del suo staff, che ha contribuito a proporre ordini del giorno, a redigere discorsi e a fare pressioni per ottenere sostegno. Ma sarebbe anche ingenuo non riconoscere il potere persuasivo unico che la Principessa Pa aveva sulle sue controparti, sia nazionali che estere.


Un’ispirazione per tutti


La Principessa Pa ha lasciato Vienna ed è tornata all’Ufficio del Procuratore Generale thailandese nell’ottobre 2014. Da allora ha assunto altri ruoli, come quello di Ambasciatrice di buona volontà dell’UNODC per lo Stato di diritto nel Sud-Est asiatico, e ha portato avanti i suoi doveri reali e le sue passioni personali. Riflettendo, non posso fare a meno di pensare al Principe Wan Waithayakon – uno dei più grandi diplomatici thailandesi e cugino di primo grado della stessa Principessa Pa – che presiedette l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1956. Sono noti per avere una grazia, una compassione e una competenza simili. Sebbene la Principessa Pa abbia abbandonato per ora la carriera diplomatica, ha già consolidato il suo ruolo di modello per la nuova generazione di diplomatici e rimane un simbolo di empatia e giustizia e una fonte di ispirazione per tutti.

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Sun Thathong è un avvocato-diplomatico thailandese, attualmente in servizio come consigliere presso il Dipartimento dei Trattati e degli Affari legali del Ministero degli Affari esteri della Thailandia. In precedenza ha ricoperto il ruolo di Primo segretario presso l’Ambasciata reale thailandese e la Missione permanente della Thailandia a Vienna (2018-2022).

Energia, quante opportunità in ASEAN

Il blocco dei Paesi del Sud-Est asiatico raddoppierà la sua domanda di gas naturale fino a 350 miliardi di metri cubi entro il 2050

L’ASEAN raddoppierà la sua domanda di gas naturale fino a 350 miliardi di metri cubi entro il 2050. Anzi, ancora di più. Una tendenza davvero imponente che accelera di pari passo con l’abbandono della produzione di energia elettrica a carbone. A individuare i 350 miliardi di metri cubi di domanda nei prossimi tre decenni, è stato il segretario generale del Gas Exporting Countries Forum, Mohammed Hammel. Secondo le proiezioni, la quota di gas naturale nel mix energetico della regione dovrebbe crescere costantemente fino al 24% entro il 2050. I dati del GECF mostrano che la domanda di gas naturale dell’ASEAN si attesterà a 160 miliardi di metri cubi nel 2021, di cui 80 miliardi di metri cubi per la produzione di energia e 50 miliardi di metri cubi utilizzati dal settore industriale. Questi due settori continueranno a fare la parte del leone nella domanda di gas naturale del blocco nel 2050. Anche l’Indonesia, la Thailandia e la Malesia saranno i maggiori contributori alla domanda. Il carbone rappresentava il 24% del mix energetico della regione nel 2021, ma probabilmente scenderà al 13% nel 2050 con l’aumento della quota di energie più pulite. Secondo i dati del GECF, la Thailandia è il più grande importatore di gas naturale liquefatto (LNG) della regione e manterrà questa posizione nei prossimi decenni. La produzione di gas naturale dell’ASEAN continuerà ad attestarsi intorno ai 180 miliardi di metri cubi nel 2050 e la regione estrarrà il suo gas principalmente in mare aperto. Se abbinato alla tecnologia di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS), il gas naturale potrebbe abbattere ulteriori 735 milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica solo nel settore energetico entro il 2050. Hidetoshi Nishimura, presidente del think-tank ERIA, ha affermato che il gas naturale può ridurre le emissioni grazie al suo uso esteso nella fase iniziale della transizione energetica pulita dal 2020 al 2030, applicando i combustibili esistenti e convenienti e le tecnologie energetiche. Nel lungo periodo 2030-2050, verranno impiegate molte tecnologie avanzate come la co-combustione con idrogeno e il CCUS (cattura, utilizzo e stoccaggio del carbonio). Il processo garantirà numerose opportunità sul fronte energetico per gli attori internazionali.

Riprendono le trattative UE-Thailandia mentre Bangkok si prepara alle elezioni

L’UE ha recentemente ripreso le trattative con la Thailandia per la conclusione di un accordo di libero scambio, mentre Bangkok si prepara alle urne. I rapporti economici costituiscono una parte essenziale della strategia europea per l’Indo-pacifico.

Lo scorso 15 marzo la Commissione ha annunciato che le trattative per la conclusione di un accordo di libero scambio (ALS) con la Thailandia sarebbero riprese dopo uno stallo di quasi dieci anni. Nel 2014, appena un anno dopo il loro avvio, i negoziati erano stati sospesi in risposta al colpo di stato militare che aveva chiuso la crisi politica generata dallo scontro tra il Governo, guidato dalla famiglia del magnate ed ex primo ministro Thaksin Shinawatra, e l’establishment ultra-conservatore legato alla monarchia e all’esercito. Da allora, il Paese è guidato dai referenti politici dell’esercito che hanno riformato la Costituzione nel 2017, rafforzando i poteri del Re e blindando il controllo dei militari sul Senato (di loro nomina e non elettivo). In questo contesto, nel 2019 i partiti pro-esercito hanno vinto le elezioni e il Consiglio Europeo ha raccomandato di rilanciare la cooperazione con Bangkok e riprendere i negoziati per l’ALS “alla luce dei progressi compiuti dalla Thailandia nel processo di democratizzazione”. Pochi giorni fa, dopo l’annuncio della ripresa delle trattative per l’ALS, il primo ministro Prayut Chan-o-cha (al potere dal golpe del 2014) ha sciolto la Camera thailandese e avviato il processo che condurrà il paese alle urne tra pochi mesi.

La Storia è fatta di corsi e ricorsi, si dice, ma i parallelismi questa volta si sprecano. I negoziati erano stati fermati quando la democrazia thailandese era stata sospesa manu militari ed ora riprendono a pochi mesi da un test importante per le Istituzioni del Paese. E’ difficile però condividere l’ottimismo del Consiglio Europeo: tra il 2019 e oggi, Bangkok è stata agitata da intense proteste che chiedevano di ridimensionare il ruolo dell’esercito e della monarchia e maggiore democrazia, proteste che si sono gradualmente spente dopo la reazione repressiva delle forze ultra-conservatrici. Sembra legittimo chiedersi dunque se in Thailandia sia davvero in corso un “processo di democratizzazione”, come ritengono i leader europei. Per rispondere occorre guardare agli ultimi decenni di storia della “terra dei liberi”. Nel Paese si tengono con regolare frequenza elezioni, quasi sempre vinte sostenitori della famiglia Thaksin. La maggioranza parlamentare riesce a governare per alcuni anni, scontrandosi politicamente con i sostenitori dell’esercito e della monarchia, ma quasi mai riesce a concludere una legislatura. A quel punto, il governo in carica prova a forzare la mano andando ad elezioni anticipate, ma lo scontro politico-istituzionale si inasprisce e provoca l’intervento dell’esercito che rovescia il governo. I militari governano per alcuni anni e poi permettono che si tengano nuove elezioni, con nuove regole opportunamente modificate, nella speranza che i loro referenti politici prevalgano sulle forze pro-Thaksin, cosa che però non avviene quasi mai. Questo copione si è ripetuto con disarmante regolarità nel 2006 e nel 2014 e potrebbe ripetersi ora anche nel 2023.

In questo contesto, guardando allo stato di salute della democrazia thailandese, è difficile pensare che sia cambiato effettivamente qualcosa rispetto agli anni immediatamente precedenti al 2014. Cosa succederebbe ai negoziati dell’ALS se si ripetesse l’ennesimo colpo di stato a Bangkok? L’UE li fermerebbe ancora una volta? Si tratta di un dilemma non facile per i decision maker di Bruxelles e che si ripresenta spesso, specie nel Sud-Est asiatico, dove la politica commerciale si fa ancora più “politica”. Da un lato, liberalizzare gli scambi commerciali porta indubbi benefici economici per entrambe le parti. La Thailandia è la seconda economia dell’ASEAN e, al momento, il quarto partner regionale per l’Unione. Come per altri membri ASEAN, l’economia thailandese è molto promettente per i settori ad alta innovazione (energie rinnovabili, veicoli elettrici, semiconduttori e altri prodotti elettronici). Il Paese potrebbe diventare un fornitore chiave per le aziende europee, ma anche un mercato dove espandersi. Per un’economia orientata all’export come quella europea (e italiana), ridurre le barriere commerciali rappresenta quasi sempre un’ottima occasione di crescita e Bruxelles è intenzionata a rilanciare la sua strategia basata sugli ALS per provare a superare le difficoltà economiche causate dalla crisi energetica.

Ma la politica commerciale va oltre gli interessi economici. L’Europa deve fare anche delle considerazioni politiche che richiedono un non facile bilanciamento. Da un lato, approfondire i legami commerciali con dei Paesi a democrazia “intermittente” o “apparente” rischia di legittimare regimi autoritari e di compromettere lo standing internazionale di Bruxelles. Inoltre, la politica commerciale rimane una questione polarizzante tra gli elettori europei e gli Stati membri. Dall’altro, gli ALS contengono ormai stabilmente norme che impegnano i partner a cooperare nello sviluppo sostenibile (ossia economico, ma anche socio-politico e ambientale) e possono incidere positivamente nella crescita della società thailandese. La Commissione è ben conscia della delicatezza di tale bilanciamento e fa preparare, durante i negoziati di ciascun ALS, una valutazione d’impatto sulla sostenibilità al fine di poter meglio considerare le opportunità e i rischi legati alla liberalizzazione degli scambi.C’è però un’ulteriore aspetto politico da considerare per capire la scelta di Bruxelles. Nel 2021, l’UE ha lanciato la sua strategia per l’Indo-pacifico e rafforzare i legami (economici e politici) con la regione è diventato essenziale in questo nuovo contesto di crescenti tensioni internazionali. Il commercio diventa quasi “prosecuzione della politica con altri mezzi”. In particolare, per contenere il “rivale sistemico” cinese, a sua volta attivo nel rafforzare gli scambi commerciali con i Paesi ASEAN. Su questo piano, Bruxelles deve anche adattarsi allo scontro commerciale e tecnologico in corso tra Stati Uniti e Cina. Lo scenario politico è sempre più complesso, ma è anche foriero di opportunità economiche per i Paesi ASEAN che possono sostituirsi alle aziende cinesi nelle catene di approvvigionamento che finiscono in Europa e in America. Rimane però il rischio che i governi europei e americano, mossi dal desiderio di coinvolgere le democrazie asiatiche nella loro azione di contenimento delle potenze “autoritarie” (e nei loro accordi commerciali), finiscano per sottovalutare o, peggio, ignorare le difficoltà e i rischi affrontati dalle forze veramente democratiche di questi Paesi. Gli sviluppi futuri del caso thailandese saranno molto importanti per capire come Bruxelles intende risolvere questo dilemma.

In Myanmar ritornano i fantasmi del passato

A due anni dal golpe, il Paese affronta anche un altro problema sulle sostanze stupefacenti

Il primo febbraio scorso una silenziosa protesta si è riversata sulle strade delle città birmane. I negozi sono stati chiusi e la popolazione si è ritirata in casa per lanciare un segnale alla giunta militare a due anni esatti da quel golpe che, nel 2021, costrinse Aung Sang Suu Kyi ai domiciliari mentre la giunta militare riprendeva il potere. Scene, purtroppo, familiari a questo Paese asiatico da decenni tormentato da attacchi alla sua democrazia. In questi due anni più di 3000 persone hanno perso la vita durante le proteste e le manifestazioni di dissenso contro la giunta militare, e più di un milione e mezzo di persone sono dovute fuggire dalle proprie case, inasprendo problemi endemici come insicurezza alimentare e abbandono scolastico fin dalla scuola primaria. 

La grave crisi politica in cui versa il Paese si va ad aggiungere ad una situazione economica sempre più precaria, iniziata con la pandemia da COVID-19 che ha colpito gravemente il Paese, dipendente dal turismo internazionale, e aggravatosi poi con la partenza di molte multinazionali da Yangon, il che ha contratto significativamente le opportunità lavorative e quindi economiche. Più recentemente, l`invasione russa dell’Ucraina, che ha causato un forte aumento dei prezzi dei fertilizzanti e dunque del costo della vita per una popolazione prevalentemente povera e rurale, ha fatto scivolare la situazione nel baratro. 

L’impoverimento delle condizioni economiche ha portato anche come conseguenza il Myanmar a riprendere ed aumentare la coltivazione di papaveri da oppio, di cui attualmente è il secondo produttore al mondo dopo l’Afghanistan.

Il cosiddetto “triangolo d’oro”, ovvero la regione dove si incontrano Laos, Myanmar e Thailandia, è storicamente un’ importante area di produzione di sostanze stupefacenti, in particolare eroina e metanfetamine. Decenni di instabilità politica hanno reso particolarmente porose le regioni di frontiera del Myanmar, trasformandole in un facile bersaglio per produttori e trafficanti di droga data la mancanza di controlli. La produzione e la vendita di oppio rappresentano di fatto una delle principali fonti di reddito per molte famiglie: il papavero cresce facilmente, e la sua coltivazione richiede uno sforzo minore rispetto ad altri prodotti. Tuttavia, il Paese negli ultimi anni, con il perdurare di una certa stabilità politica sotto la guida di Aung San Suu Kyi, si era gradualmente allontanato da questo imbarazzante fattore di reddito, tanto che nel 2020 si era raggiunto un minimo storico di aree coltivate. Ma secondo un recente rapporto dell’ UNDOC (Agenzia delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine), che ha utilizzato immagini satellitari per monitorare la superficie adibita a coltivazioni di oppio, è emersa l’evidenza  che nel 2022 la produzione di oppio è quasi raddoppiata rispetto al 2020: il cambio di rotta si è pertanto reso palese. 

L’aumento della produzione e delle aree coltivate si riscontra attraverso l’intero Paese, particolarmente nelle zone di confine con la Cina e la Thailandia, ma la svolta più pronunciata si è avuta nella regione di Shan, dove i dati raccolti hanno confermato uno sfruttamento del terreno per la coltivazione del papavero da oppio che arriva fino all’84% del territorio coltivato. 

Ma il caos e l’instabilità che scuotono il paese non aumentano solo il commercio di oppio: diversi raid condotti dall’esercito e dalla polizia del Myanmar negli ultimi anni hanno portato al sequestro di ingenti quantità di stupefacenti chimici come metanfetamine e metilfentanil, gran parte dei quali destinati all’esportazione nei paesi limitrofi. Già da anni infatti, il Paese era diventato celebre per la produzione della “yaba”, ovvero una droga sintetica contenente caffeina. A riprova che le operazioni illecite dei produttori locali oltre confine non sono state ostacolate dal COVID-19 o dai disordini post-golpe in Myanmar; piuttosto, come si è visto,  è vero il contrario.

UE e Thailandia verso il libero scambio

Dopo quasi dieci anni di stallo riprendono i negoziati per l’accordo tra Bruxelles e Bangkok. La firma può fare da apripista a quello più ampio tra i due blocchi

Finalmente. La Thailandia e l’Unione Europea hanno deciso di riavviare i negoziati per un accordo commerciale bilaterale, con l’obiettivo di concludere entro il 2025 un accordo che è stato bloccato per quasi un decennio. Era infatti dal 2014 che le trattative si erano interrotte, in coincidenza del colpo di Stato militare che aveva visto protagonista il Paese del Sud-Est asiatico. Gli alti funzionari di entrambe le parti inizieranno i colloqui a luglio in Thailandia. I negoziati riguarderanno il commercio di beni e servizi e gli investimenti in settori chiave della Thailandia in cui l’UE desidera aumentare la propria quota. Qualche esempio? Le energie rinnovabili, i veicoli elettrici e la produzione di microchip, ritenuta sempre più strategica a livello globale. L’UE è la seconda destinazione per i capitali thailandesi in uscita e rappresenta il 14% degli investimenti diretti esteri dalla Thailandia. Pesi massimi della comunità imprenditoriale thailandese, come il promotore immobiliare Central Group, hanno investito capitali in Europa. Il blocco è il quarto mercato di esportazione della Thailandia, che riceve prodotti alimentari, materie prime e componenti elettronici da aziende come CP Group e Delta Electronics. L’UE, invece, rappresenta il 10% degli investimenti diretti esteri in Thailandia. Il Regno è al quarto posto tra i partner commerciali dell’UE nella regione. Gli scambi di merci tra i due paesi ammontano a 50 miliardi di euro (53 miliardi di dollari) nel 2022, mentre i servizi ammontano a 8 miliardi di euro nel 2020. Il surplus commerciale della Thailandia è di 150 miliardi di baht (4,3 miliardi di dollari). La Thailandia intende eliminare le tariffe sulle esportazioni verso i 27 Paesi, in particolare per quanto riguarda le automobili e le parti di automobili, l’elettronica, gli indumenti e i prodotti tessili, gli alimenti e la gomma. I produttori thailandesi beneficerebbero anche dei minori costi di importazione di macchinari, attrezzature e prodotti chimici dall’UE. Si tratterebbe del terzo accordo bilaterale di libero scambio dell’UE nel Sud-Est asiatico, dopo quelli già sottoscritti con Singapore nel 2019 e col Vietnam nel 2020. Due precedenti fortunati, che lasciano intravedere sullo sfondo la possibilità che il negoziato con la Thailandia serva da volano per arrivare in futuro a un accordo di libero scambio UE-ASEAN.

Economia (e moda) circolare in ASEAN

L’attenzione alle tematiche ambientali è sempre più sentita nel Sud-Est asiatico, uno dei principali poli produttivi di fast fashion e consumo di plastica.

Negli ultimi anni dal settore della moda è partito un crescente interesse verso modelli etici e sostenibili. A livello internazionale, sempre più marchi di moda stanno adottando un’economia circolare, ovvero un quadro di produzione e consumo che promuove l’idea di riutilizzo, riciclaggio e riduzione dei rifiuti al minimo. Questa è in gran parte una risposta alla maggiore consapevolezza dei consumatori sull’impatto negativo del fast fashion e alla maggiore preoccupazione per le questioni ambientali e sociali. Ciò ha permesso una netta crescita del mercato della moda sostenibile. Secondo The Business Research Company, il mercato globale della moda etica – definito come design, produzione e distribuzione di abbigliamento che mira a ridurre al minimo i danni alle persone e all’ambiente – dovrebbe raggiungere gli 11,12 miliardi di dollari entro il 2027. Questo sta avvenendo anche in Thailandia, dove un numero crescente di negozi di abbigliamento locali sta dando il proprio contributo al trend della sostenibilità.

Tra questi vi è l’esempio di Nymph Vintage, un negozio online di abbigliamento riciclato. La fondatrice Krittiga Kunnalekha ha intuito il potenziale nascosto nei ritagli di tessuto. Scarti di tende, vestiti usati e tappeti, grazie alle sue mani creative, si trasformano in una colorata gamma di camicette, abiti e gonne. Krittiga si concentra sul cosiddetto upcycling, dare nuova vita ai tessuti per creare capi unici. Una svolta importante per la reputazione di Bangkok come capitale del fast fashion, sia per quanto riguarda lo shopping che i suoi grandi centri commerciali all’ingrosso riforniti di abbigliamento economico prodotto in serie. 

Marry Melon – il brand fondato da Sarita Prapasawat – rappresenta un’altra storia di successo. Quando ha aperto il suo negozio quattro anni fa, Sarita cuciva personalmente ogni capo utilizzando tessuti di abiti usati acquistati nei mercatini dell’usato in Thailandia o all’estero. Il suo marchio è diventato famoso nel 2022, quando diversi influencer e attrici locali hanno iniziato a indossare i suoi modelli. Questo le è valso un accordo con il marchio di vendita al dettaglio Pomelo con sede a Bangkok, conquistando il proprio posto anche nel loro negozio online.

Anche l’Indonesia risponde alla grave emergenza dei rifiuti in plastica con esempi di imprenditoria virtuosa. Gli imballaggi di plastica – un sottoprodotto del rapido sviluppo economico del Paese – sono sparsi ovunque, inquinando interi paesaggi e corsi d’acqua. È stato questo a spingere la giovane Syukriyatun Niamah a fondare Robries, una startup che mira a trasformare i rifiuti di plastica in mobili e accessori per la casa, evitando che finiscano in mare. L’imprenditrice indonesiana ha studiato design del prodotto prima di fondare la startup nel 2018, applicando le sue competenze alla sperimentazione di processi di riciclo per convertire i rifiuti di plastica in prodotti utili. Da tavoli e sedie a vasi dai colori vivaci. La giovane azienda, che sta cercando un round di finanziamento di serie B di 250.000 dollari, ricicla quattro tipi di rifiuti di plastica: polipropilene, polietilene ad alta densità, polietilene a bassa densità e polistirene ad alto impatto. Gli obiettivi sono ambiziosi: educare le persone a uno stile di vita a zero consumo di plastica, portando i loro prodotti in giro per l’Indonesia; entrare nel mercato globale; potenziare la propria capacità di upcycling con processi più efficienti. 

La plastica è un problema molto grave nel Sud-Est asiatico, dove le bevande da asporto, dal caffè caldo al tè, sono spesso servite in sacchetti di plastica e alcuni venditori ambulanti utilizzano imballaggi difficili da smaltire per i pasti da asporto, anche se alcuni sono passati a cannucce di carta, utensili in legno e contenitori biodegradabili. La dipendenza dalla plastica è diventata ancora più evidente durante la pandemia di COVID-19 che ha fatto aumentare l’uso dei servizi di delivery. 

“Rispetto al resto del mondo, il Sud e il Sud-Est asiatico utilizzano più plastica monouso grazie alla sua convenienza”, ha affermato Prak Kodali, CEO e co-fondatore di pFibre con sede a Singapore, che utilizza ingredienti marini biodegradabili a base vegetale per realizzare pellicole per imballaggi flessibili. 

In linea con l’urgenza da parte dei governi e delle aziende asiatiche di rispondere al cambiamento climatico, sempre più imprese ecologiche stanno cercando di promuovere l’economia circolare in ASEAN, mirando soprattutto a ridurre o eliminare i rifiuti generati dai consumi umani. 

In Vietnam, ReForm Plastic trasforma materie plastiche di basso valore in materiali da costruzione e altri prodotti. Utilizzando tecniche di stampaggio a compressione, converte la plastica in pannelli che possono servire come materiali di base da modellare in articoli di consumo. La sua co-fondatrice, Kasia Weina, ha dichiarato a Nikkei che la startup ha convertito in prodotti oltre 500 tonnellate di plastica di scarso valore, con la capacità di processare fino a 6.000 tonnellate in otto stabilimenti. Sono pronti a una rapida espansione con otto strutture operative o di installazione in Asia e Africa: due in Myanmar, due in Vietnam, una in Bangladesh, una nelle Filippine, una in Ghana e una in Laos, mirando a elaborare oltre 100.000 tonnellate di rifiuti di plastica all’anno entro il 2030.

Tali sforzi hanno un significato globale perché la plastica rappresenta l’80% di tutti i detriti presenti negli oceani del mondo. L’ASEAN genera decine di milioni di tonnellate di rifiuti di plastica all’anno. Un volume di rifiuti solidi e detriti marini destinato ad aumentare insieme all’urbanizzazione in espansione e a una classe di consumatori in crescita. Gli effetti a lungo termine stanno appena emergendo. The Circulate Initiative – un’organizzazione senza scopo di lucro che affronta l’inquinamento da plastica degli oceani nel sud e Sud-Est asiatico – ha osservato che l’eliminazione dell’inquinamento da plastica solo in India e Indonesia entro il 2030 eviterebbe 150 milioni di tonnellate di emissioni di gas serra, rilasciati durante il processo di decomposizione che può impiegare centinaia di anni. 

La sfida per le startup del settore è raccogliere fondi in un momento in cui gli investitori sono frenati dalle incertezze macroeconomiche globali, dall’aumento dei tassi di interesse e dalle pressioni inflazionistiche. Tuttavia, gli sforzi di finanziamento dedicati continuano a sostenere l’economia circolare. The Incubation Network, che collega investitori e giovani aziende con un programma di sostenibilità, ha affermato di aver aiutato le startup a raccogliere 59 milioni di dollari di capitale da quando è stata creata nel 2019. Lo stesso anno, Circulate Capital ha lanciato il primo fondo di investimento al mondo dedicato alle startup e alle piccole imprese che combattono la minaccia della plastica negli oceani.

Singapore, sempre più donne nei ruoli manageriali

Continua ad aumentare il numero delle donne nelle posizioni apicali del mondo imprenditoriale di Singapore. Secondo uno studio annuale del Council for Board Diversity, il 36% delle nomine nei consigli di amministrazione delle 100 maggiori società quotate alla borsa di Singapore è stato affidato a donne nel 2022, un record e un aumento rispetto al 23% del 2021. L’afflusso di donne fa seguito alle nuove regole che impongono alle società quotate a Singapore di dire di più sulle loro politiche di diversità nei consigli di amministrazione. Secondo il rapporto del CBD, alla fine del 2022 il 21,5% dei ruoli di amministratore era ricoperto da donne, rispetto al 18,9% della fine del 2021. Il rapporto rileva che il “pool di talenti” femminili di Singapore è in crescita. Tra tutti gli amministratori nominati per la prima volta nelle prime 100 società, le donne rappresentano il 45%, rispetto al 25-30% precedente. Numeri molto rilevanti e significativi, ma permangono tuttavia degli ampi margini di miglioramento. Oltre il 90% dei consigli di amministrazione di Singapore sono presieduti da uomini. Inoltre, solo il 7% delle prime 100 società ha un consiglio di amministrazione equilibrato dal punto di vista del genere, definito come composto per il 40-60% da uomini o donne. L’afflusso di donne nei consigli di amministrazione dimostra che Singapore si sta muovendo nella giusta direzione, ha dichiarato al South China Morning Post Mak Yuen Teen, professore dell’Università Nazionale di Singapore, che si occupa di corporate governance. Ma il fatto che ci siano ancora relativamente poche posizioni di leadership per le donne nei consigli di amministrazione “suggerisce che al momento vengono nominate nei consigli di amministrazione candidate relativamente meno esperte”. Ma di certo il percorso intrapreso da Singapore e dalla sua realtà imprenditoriale per garantire maggiore rappresentatività alle donne è quello giusto.

L’ASEAN disegna il suo futuro

Sono iniziate le riunioni di lavoro interne al blocco per sviluppare un documento contenente la visione post-2025. Emergono già dei principi fondamentali

Il Sud-Est asiatico guarda al futuro e lo fa fissando in cima alla sua agenda alcuni principi fondamentali. Primo: orientamento all’azione. Secondo: sostenibilità. Terzo: impresa, audacia e innovazione. Quarto: adattabilità e proattività. Quinto: adattabilità e resilienza. Sesto: inclusività, partecipazione e collaborazione. Sono questi i sei obiettivi primari su cui l’ASEAN è intenzionata a costruire e linee guida per la costruzione del suo futuro. Sì, perché come ha spiegato nei giorni scorsi Netty Muharni, funzionario del Ministero coordinatore per gli Affari economici dell’Indonesia, lo sviluppo della Visione ASEAN post-2025 è stato il tema principale della riunione del Gruppo di lavoro per la Visione della comunità economica ASEAN, presieduto per la prima volta dal governo indonesiano il 2 marzo scorso a Belitung. I sei elementi fondamentali dovrebbero essere concordati dai leader dei Paesi membri del blocco del Sud-Est asiatico in occasione del 42° Vertice dell’ASEAN che si terrà il prossimo maggio proprio in Indonesia, che detiene per il 2023 la presidenza di turno. Per anticipare e sostenere l’integrazione economica futura saranno comunque incluse nel documento di sviluppo comune anche diverse nuove caratteristiche tra cui la salute, le megatendenze globali, l’economia creativa, la sostenibilità, la digitalizzazione e la cooperazione con i partner esterni al blocco. In un modo che ha spesso a che fare con continue emergenze, l’ASEAN prova a guardare altro e a sviluppare la sua visione post-2025 per definire una nuova e chiara agenda per una migliore integrazione economica e per adattarsi ai progressi tecnologici, ai cambiamenti geopolitici e alle trasformazioni economiche che stanno cambiando l’attuale panorama globale. Come sempre lo farà attraverso meccanismi di coordinamento e di consultazione interna non solo degli attori politici, ma anche economici e sociali. Fattore cruciale per la regione la cui rilevanza diplomatica, commerciale, produttiva e tecnologica è in costante aumento. Una tendenza che non potrà che accelerare con una visione chiara sulla direzione intrapresa.

La Thailandia verso le elezioni

Entro maggio la Thailandia andrà a elezioni generali, le seconde dopo il colpo di stato del 2014. L’ex generale Prayut cerca un terzo mandato, ma si è separato dal principale partito legato ai militari e dovrà vedersela con i vecchi alleati e il terzo esponente della famiglia Shinawatra, oltre che con i giovani eredi delle proteste del 2020

Articolo di Francesco Mattogno

C’è una data che in Thailandia aspettano un po’ tutti, ma che a conti fatti è solo una formalità: il giorno in cui il primo ministro Prayut Chan-o-cha scioglierà il parlamento. Da quel momento inizierà ufficialmente la campagna elettorale e si andrà a elezioni generali entro 45 giorni. Si tratta di una formalità per due ragioni. La prima è che la campagna elettorale è già iniziata, come dimostrano i comizi per il paese dei candidati premier. La seconda è che il termine naturale della legislatura è previsto per il prossimo 23 marzo.

Che Prayut sciolga anticipatamente le camere o meno, i thailandesi saranno comunque chiamati alle urne entro maggio. Dietro la possibilità di accelerare il processo c’è un mero calcolo politico del primo ministro. Secondo la costituzione, emanata dalla giunta militare nel 2017, in caso di scioglimento anticipato del parlamento i partiti potranno candidare alle elezioni anche gli iscritti con soli 30 giorni di militanza, invece dei 90 giorni minimi che sarebbero normalmente richiesti. Una clausola molto utile proprio a Prayut, che avrebbe così più tempo per reclutare nuovi membri nel partito in cui lui stesso è entrato a gennaio, il Ruam Thai Sang Chart (o United Thai Nation, UTN).

Gli ultimi mesi di Prayut sono stati movimentati. L’ex generale dell’esercito, leader del colpo di stato del 2014, governa (quasi) ininterrottamente da 9 anni. Prima da premier della giunta militare, fino alle elezioni del 2019, e poi come primo ministro eletto dal Palang Pracharat Party (PPRP), il partito dei militari. L’unico periodo lontano dal potere è stato quello della sua sospensione dal 24 agosto al 30 settembre 2022. Ovvero i giorni in cui la Corte costituzionale thailandese ha dovuto decidere se l’ex generale avesse violato o meno limite di 8 anni di mandato consecutivi per un primo ministro. Il limite è previsto da una norma della costituzione del 2017 che però la corte ha stabilito non essere retroattiva, dando la possibilità a Prayut di restare premier teoricamente fino al 2025.

Di fatto, con le elezioni previste per il 2023, in caso di vittoria Prayut potrà servire come capo del governo al massimo per la metà di un naturale mandato di 4 anni. Per questo il PPRP era pronto a scaricarlo e a candidare al suo posto Prawit Wongsuwan: leader del partito, vice primo ministro e uno dei generali dietro il golpe del 2014. È stato Prawit a rivestire il ruolo di primo ministro ad interim durante la sospensione di Prayut e i rapporti tra i due, un tempo molto stretti, sembrano essersi incrinati.

Non volendo rinunciare alla nomina, Prayut è entrato nell’UTN, un altro partito filo-militare, diventandone il candidato premier e portando con sé diversi parlamentari del PPRP. Alle elezioni affronterà proprio Prawit che, a 77 anni,  sta cercando nel frattempo di ripulire la propria immagine di grigio e violento generale indossando abiti firmati, dispensando sorrisi e mostrandosi sui social. In un post su Facebook ha dichiarato di aver capito l’importanza di vivere in un sistema democratico, prendendo le distanze dal colpo di stato al quale ha contribuito. C’è però chi ritiene che la spaccatura tra i due generali – d’altronde smentita dai diretti interessati – sia un bluff, e che una coalizione post-elettorale tra i rispettivi partiti sia molto probabile.

Nonostante siano apparentemente divisi, il fatto che i militari possano unire le forze è legato a un vantaggio strutturale. Dal 2017 il parlamento thailandese è formato da una camera bassa composta da 500 deputati, eletti dal popolo, e da un senato di 250 membri nominati dai militari. Il primo ministro viene scelto a maggioranza dai parlamentari, compresi i 250 senatori filo-militari e filo-monarchici, tra quelli proposti dai partiti (ogni partito ne può candidare 3). Realisticamente, l’opposizione avrebbe quindi bisogno di 376 seggi dei 500 della camera per eleggere un proprio esponente a capo del governo.

La partecipazione del senato all’elezione del premier è però temporanea. La norma scadrà nel maggio 2024 e queste dovrebbero essere le ultime elezioni in cui verrà applicata. Nel frattempo, la strada per i partiti di opposizione sembra poter essere solo una: stravincere. Chi ha più chance di farlo è il Pheu Thai Party della famiglia Shinawatra. La candidata del partito è Paetongtarn Shinawatra, figlia dell’imprenditore miliardario Thaksin e nipote di Yingluck, eletti primi ministri con valanghe di voti rispettivamente nel 2001 e 2011. Sia suo padre che sua zia sono stati poi rimossi da colpi di stato (nel 2006 e 2014) con una serie di accuse a loro carico. Da allora vivono in esilio.

Per molti, dietro alle incriminazioni si nascondevano le paure dell’establishment monarchico-militare per la popolarità dei due premier populisti. Paetongtarn, che ha 36 anni ed è incinta di 7 mesi, oggi promette la fine della povertà e una nuova era di uguaglianza sociale, parlando di raddoppiare il salario minimo e di estendere l’assistenza sanitaria. I sondaggi la danno saldamente in testa, specialmente nel nord-est del paese (roccaforte di famiglia), ma Prayut e l’UTN sembrano in recupero.

Nonostante le “operazioni simpatia”, Prawit risulta invece molto più indietro. Ugualmente in crisi è lo storico Democratic Party, il più antico partito thailandese (monarchico-conservatore), la cui leadership in vista delle elezioni ancora non è chiara. I democratici fanno parte della coalizione di governo insieme al PPRP e al Bhumjaithai (BJT), che si trova però in una condizione opposta rispetto ai due alleati. Guidato dall’attuale ministro della Sanità e vice primo ministro, Anutin Charnvirakul, la popolarità del BJT è in crescita. Negli ultimi mesi ha raccolto decine di parlamentari provenienti da altri partiti, e si prevede che possa diventare una sorpresa alle elezioni grazie al supporto di cui gode nel nord della Thailandia.

C’è poi il Move Forward Party, la cui base di sostegno non è regionale, ma generazionale. Erede di fatto del Future Forward – partito sciolto nel 2020 con una sentenza della Corte costituzionale, poi trasformatosi nell’extraparlamentare Movimento progressista  -, il Move Forward raccoglie buona parte dei giovani appartenenti ai movimenti democratici delle proteste del 2020. Il suo leader, Pita Limjaroenrat (42 anni), si dice pronto a collaborare con il Pheu Thai in un eventuale governo di coalizione che estrometta i partiti filo-militari dal potere. L’obiettivo sarebbe poi quello di scrivere una nuova costituzione e tenere un referendum per approvarla entro centro giorni. Difficile capire se è anche quello che vuole il Pheu Thai, che finora non ha mai smentito ufficialmente la possibilità di allearsi invece con il PPRP di Prawit a urne chiuse. Una voce che ha preso piede nelle ultime settimane.

Nel 2019 la vittoria sulla carta del Pheu Thai (con il terzo posto del Future Forward) era stata rovesciata dai meccanismi parlamentari di nomina del primo ministro. Tra squalifiche di partiti e candidati, secondo Asian Network for Free Elections “tutte le fasi del processo elettorale [del 2019] sono state influenzate per garantire un risultato non troppo duro per l’establishment al potere”. Ci si chiede quanto le cose potranno cambiare nel 2023.

Il nuovo sistema elettorale, approvato nel 2021, ha aumentato i seggi da assegnare con il metodo maggioritario (da 350 a 400), lasciandone solo 100 al proporzionale. Una condizione che sfavorisce i piccoli partiti nella fase di redistribuzione dei voti. La commissione elettorale, oltre ad annunciare una collaborazione “anti-disinformazione” con TikTok, ha deciso che non pubblicherà il conteggio dei voti in tempo reale. Così i primi risultati ufficiali arriveranno la notte delle elezioni. “È un metodo incline a essere truccato”, ha dichiarato un ex commissario elettorale. Anche per questo il giorno delle elezioni si dovrebbero mobilitare 100 mila volontari per registrare i voti in maniera autonoma.

Intanto, le regolari sedute parlamentari sono sospese. Nell’ultimo dibattito alla camera l’opposizione ha contestato a Prayut di aver lasciato la Thailandia in uno “stato pietoso” a causa della sua pessima gestione dell’economia (cresciuta solo del 2,6% nel 2022). Il primo ministro è stato poi accusato di corruzione, clientelismo, e di aver usato la legge di lesa maestà e le misure anti-Covid per sopprimere le proteste democratiche del 2020-21. Pesano su di lui anche gli sbandamenti nello schieramento internazionale del paese, ambiguo nei suoi legami col governo della giunta militare in Myanmar e sulla condanna alla guerra della Russia in Ucraina, oltre che sempre più vicino alla Cina.

Considerazioni dalle quali Prayut si è difeso menzionando tutte le buone cose che avrebbe fatto la sua amministrazione, impegnandosi a citare dati e percentuali su progetti infrastrutturali, contagi Covid, welfare. “Devo garantire continuità, rimodellerò il paese in meglio entro due anni” aveva dichiarato a gennaio. Anche questo, al di là delle formalità, significa essere già in campagna elettorale.

La risposta ASEAN al cambiamento climatico: l’intelligenza artificiale

Alcuni Paesi del Sud-Est asiatico stanno iniziando a usare servizi di intelligenza artificiale al fine di agire più rapidamente e ridurre l’impatto di  inondazioni e alluvioni

La Thailandia e il Vietnam, come altri Stati del Sud-Est asiatico, sono Paesi che, a causa della loro posizione geografica e del loro clima, subiscono spesso inondazioni. Queste inondazioni possono essere “mortali” a vari livelli, causando danni diffusi alle infrastrutture, e provocando soprattutto la perdita di vite umane. Secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale, nel 2021 i rischi legati al clima e all’acqua hanno causato danni per 35,6 miliardi di dollari in Asia. Il WorldRiskIndex annuale ha identificato le Filippine come il Paese più vulnerabile alle catastrofi nel 2021, e anche molti altri Paesi asiatici sono stati classificati come ad altissimo rischio. Un modo in cui questi Paesi stanno lavorando per mitigare l’impatto delle inondazioni è l’uso di servizi di intelligenza artificiale (AI) per le allerte meteo. Due aziende all’avanguardia in questo settore sono Weathernews e Spectee.

Weathernews è un’azienda giapponese specializzata in previsioni meteorologiche e fornisce servizi a clienti di tutto il mondo. Questo servizio utilizza algoritmi di intelligenza artificiale per fornire previsioni meteo estremamente accurate. Il servizio è progettato per aiutare le aziende e i governi a prendere decisioni migliori sulla base delle previsioni meteorologiche, ad esempio emettendo allarmi meteo tempestivi per le aree a rischio di inondazioni. Weathernews utilizza diverse fonti per raccogliere i dati per i suoi servizi di previsione meteorologica, tra cui i servizi meteorologici pubblici, la propria rete proprietaria di oltre 13.000 punti di osservazione e le segnalazioni delle persone. L’azienda raccoglie anche dati di osservazione da parte di navi e aerei. 

L’obiettivo del presidente di Weathernews, Chihito Kusabiraki, è quello di aumentare del di un ulteriore 30% i ricavi provenienti dai Paesi esteri, i quali passerebbero dal 40% al 70% del totale. Al momento la maggior parte dei clienti internazionali di Weathernews sono aziende fornitrici di servizi logistici, quali operatori aerei e compagnie di navigazione. A livello di Sud Est asiatico Weathernews ha in programma di lanciare il suo servizio di previsione basato sull’intelligenza artificiale entro marzo 2023 in Thailandia ed entro giugno 2023 in Vietnam. Grazie a questo nuovo servizio, l’azienda mira a espandere la propria base di clienti. L’obiettivo dell’azienda è quello di aumentare il fatturato totale in Thailandia e Vietnam fino a 3 miliardi di yen (22,6 milioni di dollari) all’anno. 

Un’altra azienda che sta utilizzando l’intelligenza artificiale per fornire avvisi meteo alle aree a rischio di inondazioni è Spectee, un’azienda giapponese specializzata nel fornire notizie e informazioni sui disastri naturali, comprese le inondazioni, attraverso l’uso di algoritmi di intelligenza artificiale in grado di identificare rapidamente le immagini, i video e le informazioni su inondazioni, condivisi sui social media. Queste informazioni vengono poi utilizzate per creare avvisi che possono essere inviati alle autorità e ai soccorritori nelle aree colpite. L’azienda ha annunciato che, una volta trovato un partner, istituirà un’unità locale nelle Filippine che terrà traccia di informazioni, foto e video sui social media per mappare i disastri naturali nel paese. 

Il vantaggio di utilizzare i servizi di intelligenza artificiale per le allerte meteo in aree a rischio di inondazioni come la Thailandia e Vietnam è che possono fornire informazioni in tempo reale che possono aiutare le autorità ad agire rapidamente. Tuttavia, l’utilizzo di servizi di intelligenza artificiale per le allerte meteo presenta anche potenziali problemi. Uno di questi è che molte persone potrebbero non avere accesso alla tecnologia necessaria per ricevere le allerte meteo. Ad esempio, le persone che vivono in aree remote potrebbero non avere accesso alla rete degli smartphone. Ciò potrebbe rendere il sistema di Spectee inefficiente. Un’altra preoccupazione è che le aziende e gli enti governativi delle economie asiatiche emergenti potrebbero avere difficoltà a permettersi prodotti progettati per clienti con maggiori difficoltà economiche. 

Nonostante queste preoccupazioni, è chiaro che i servizi di intelligenza artificiale per le allerte meteo hanno il potenziale per essere un potente strumento per mitigare l’impatto delle alluvioni. Fornendo informazioni in tempo reale sui modelli meteorologici e sulle inondazioni, questi servizi possono aiutare le autorità ad agire rapidamente e a ridurre l’impatto delle inondazioni sulle comunità locali. Man mano che questi servizi continueranno a svilupparsi e a diventare più avanzati è probabile che svolgeranno un ruolo sempre più importante negli sforzi di risposta alle catastrofi non solo nel Sud-Est asiatico, ma in tutto il mondo.

La terza via asiatica

Come l’ASEAN sopravvive e prospera in mezzo alla competizione tra grandi potenze

Proponiamo di seguito un estratto dell’ultimo saggio di Kishore Mahbubani, pubblicato da Foreign Affairs

La sfida geopolitica più importante del nostro tempo è quella tra Cina e Stati Uniti. Con l’aumento delle tensioni sul commercio e su Taiwan, tra le altre cose, in molte capitali cresce comprensibilmente la preoccupazione per un futuro definito dalla competizione tra grandi potenze. Ma una regione sta già tracciando un percorso pacifico e prospero in questa era bipolare. Situata al centro geografico della lotta per l’influenza tra Stati Uniti e Cina, il Sud-Est asiatico non solo è riuscito a mantenere buone relazioni con Pechino e Washington, ma ha anche permesso alla Cina e agli Stati Uniti di contribuire in modo significativo alla sua crescita e al suo sviluppo. Non si tratta di un’impresa da poco. Tre decenni fa, molti analisti ritenevano che l’Asia fosse destinata al conflitto. Come scrisse lo scienziato politico Aaron Friedberg nel 1993, l’Asia sembrava molto più probabile dell’Europa come “cabina di pilotaggio di un conflitto tra grandi potenze”. Nel lungo periodo, prevedeva, “il passato dell’Europa potrebbe essere il futuro dell’Asia”. Ma nonostante i sospetti e le rivalità – in particolare tra Cina e Giappone e tra Cina e India – l’Asia è ora nel suo quinto decennio di relativa pace, mentre l’Europa è di nuovo in guerra. (L’ultimo grande conflitto asiatico, la guerra sino-vietnamita, è terminato nel 1979). Il Sud-Est asiatico ha sopportato una certa dose di conflitti interni, soprattutto in Myanmar, ma nel complesso la regione è rimasta notevolmente pacifica, evitando conflitti interstatali nonostante la notevole diversità etnica e religiosa. Il Sud-Est asiatico ha anche prosperato. Mentre il tenore di vita degli americani e degli europei è diminuito nel corso degli ultimi due decenni, i sud-est asiatici hanno ottenuto notevoli guadagni in termini di sviluppo economico e sociale. Dal 2010 al 2020, l’Associazione delle Nazioni del Sud-Est Asiatico (ASEAN), composta da dieci Paesi con un PIL combinato di 3.000 miliardi di dollari nel 2020, ha contribuito alla crescita economica globale più dell’Unione Europea, i cui membri avevano un PIL combinato di 15.000 miliardi di dollari. Questo eccezionale periodo di crescita e armonia in Asia non è un caso. È in gran parte dovuto all’ASEAN, che nonostante i suoi numerosi difetti come unione politica ed economica ha contribuito a forgiare un ordine regionale cooperativo costruito su una cultura del pragmatismo e dell’accomodamento. Quest’ordine ha colmato le profonde divisioni politiche nella regione e ha mantenuto la maggior parte dei Paesi del Sud-Est asiatico concentrati sulla crescita economica e sullo sviluppo. La più grande forza dell’ASEAN, paradossalmente, è la sua relativa debolezza ed eterogeneità, che fa sì che nessuna potenza la veda come una minaccia.
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Vo Van Thuong, chi è il nuovo Presidente del Vietnam

Vicino al Segretario Trong e membro più giovane del Politburo, la sua parabola politica si inserisce nel più ampio rimpasto politico degli ultimi tempi

“Sono carne e sangue con il mio popolo / lo stesso sudore, la stessa goccia di sangue bollente”. È citando il più noto poeta vietnamita del XX secolo che Vo Van Thuong assume ufficialmente la carica di presidente della Repubblica socialista del Vietnam il 2 marzo 2023. Dopo le inaspettate dimissioni di Nguyen Xuan Phuc (le prime nella storia della Repubblica socialista) lo scorso 17 gennaio, l’élite politica sembra pronta a lasciarsi alle spalle un periodo di scandali e arresti. 

Prima di Phuc, sempre a gennaio, anche i due vice ministri Pham Binh Minh e Vu Duc Dam hanno consegnato le proprie dimissioni. Per tutto il corso del 2022 la campagna anticorruzione del Partito comunista vietnamita (PCV) si è intrecciata con lo scandalo delle tangenti per i rimpatri durante la pandemia e quello della truffa intorno ai test per il Covid-19.  A voler segnalare la necessità di ripulire l’immagine della leadership politica rientra anche la tempestività nell’eleggere un nuovo presidente senza attendere l’Assemblea nazionale di maggio. Il nuovo presidente si chiama Vo Van Thuong e la sua elezione è stata approvata con un voto del 98,8%.

Chi è Vo Van Thuong

Vo Van Thuong è originario della provincia meridionale di Vinh Long. È nato nel 1970 ed è il membro più giovane dell’attuale Politburo. Non è un caso che il PCV e l’Assemblea nazionale abbiano scelto un sudvietnamita per ricoprire la carica di presidente. Tradizionalmente i “quattro pilastri” della politica vietnamita – ovvero il segretario generale PCV, il capo di stato, il primo ministro e il presidente dell’Assemblea nazionale – rappresentano equamente i due poli del paese. Dal 2021, però, nessun vietnamita aveva ancora assunto una delle quattro cariche principali. Nel caso di Thuong è però importante ricordare che la famiglia si era trasferita nel Vietnam del nord e vi rimase fino alla fine della guerra.

Diversamente dal suo predecessore, laureato in Economia, Thuong si è laureato in Filosofia marxista-leninista presso l’Università di Ho Chi Minh. Ma come Phuc ha presto scalato le gerarchie di Partito dopo anni di militanza attiva nel mondo dell’associazionismo giovanile che ruota intorno al PCV. È entrato nel Partito nel 1993, a 23 anni, ed è stato eletto membro del Politburo durante il 12° Congresso, nel 2016. Gli analisti lo identificano come un fedelissimo dell’attuale Segretario Nguyen Phu Trong, che al 13° Congresso gli ha affidato la Segreteria esecutiva del PVC. Con questo curriculum Thuong era da tempo considerato uno dei possibili eredi di Trong e oggi si conferma una scelta rassicurante in tempi agitati. Non solo: l’economia vietnamita sta vivendo uno dei periodi più floridi degli ultimi anni e la fiducia non è più solo una questione di politica interna.

Cosa significa l’elezione di Thuong per l’economia vietnamita

Oggi il Vietnam è uno dei paesi più promettenti dal punto di vista economico: la crescita del Pil ha superato l’8% nel corso del 2022 e il Fondo monetario internazionale (Fmi) vede la continuazione di questa parabola ascendente con un saldo +6,2% per il 2023 (rispetto ai dati dell’Istituto nazionale di statistica – citati sopra – il Fmi aveva stimato la crescita del 2022 al +7%). Dopo la riconferma di Trong alla dirigenza del Partito, inoltre, sembrano consolidati quelli che la leadership interpreta come segnali di stabilità nei confronti dei cittadini e degli investitori esteri. 

Coerentemente con quello che sembra un percorso prettamente politico avviato con il 13° Congresso (2021), nel suo discorso inaugurale Thuong ha preferito dare spazio alla lotta alla corruzione e alla costruzione di “un apparato statale pulito [dalla corruzione, ndr.] e forte”. Ha poi citato gli obiettivi di sviluppo interno quali il raggiungimento del reddito medio entro il 2030 e il coronamento della costruzione di un paese socialista ad alto reddito entro il centenario della fondazione della repubblica, il 2045.

Il moloch burocratico vietnamita rimane un ostacolo all’innovazione ma, sottolineano gli analisti, i recenti sommovimenti anche ai piani più alti dell’élite politica di Hanoi potrebbero influire positivamente sull’attrattività economica del paese. Come evidenzia Le Hong Hiep, senior fellow di ISEAS – Yusof Ishak Institute, il repentino passaggio di consegne degli ultimi due anni sarebbe da interpretare come un’accelerazione nella transizione politica del paese. Il terzo (eccezionale) mandato di Trong sarebbe, quindi, funzionale alla costruzione di una discendenza solida e rassicurante. Sebbene sia ancora da mettere alla prova la competenza dei funzionari prescelti.

Per il Vietnam si sta aprendo un periodo di opportunità, sostenute da spinte interne ed esterne a Hanoi: l’allontanamento delle catene globali del valore dalla Cina, gli incentivi governativi in materia di sviluppo high-tech e l’apertura agli investimenti per la costruzione di un apparato energetico resiliente. Ma il Partito dovrà saper bilanciare l’entusiasmo degli investitori con le problematiche strutturali del paese, dalle infrastrutture alla burocrazia. Per fare questo non basterà un uomo (o meglio, non ne basteranno quattro) alla guida della nazione. Intanto, la presidenza potrebbe essere solo una prima piattaforma di lancio per Thuong che – come sostiene una dichiarazione rilasciata da un diplomatico di Hanoi all’agenzia stampa Reuters – potrebbe poi diventare il successore di Trong alla dirigenza del Partito e quindi passare al ruolo più importante nella gerarchia politica.




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